Pubblicato su “Il legno Storto” del 7 settembre 2011
di Vito Foschi
Da un po’ di tempo si fa un gran parlare dei costi della
politica e ci permettiamo una considerazione in qualche modo tecnica e una
provocazione. Molte delle proposte si concentrano sulla riduzione di qualche
voce di costo, con qualche aneddoto poco edificante come la spigola offerta al prezzo
di una portata da mensa aziendale. Lo svantaggio di tutte queste iniziative è
che semplicemente non risolvono il problema. Sono un utile diversivo, un modo
per dare un contentino ai cittadini, ma senza intaccare il grosso della spesa.
Questo avviene per un semplice e banale motivo che si spiega con un esempio:
ridurre del 10% una voce di costo pari al 10% del totale del bilancio,
significa ridurre i costi dell’1%. Il 10% del 10% è proprio l’1%. Cambiando le
percentuali il risultato non cambia di molto. Anche riducendo del 10% il 50%
del bilancio totale, si riduce la spesa totale del solo 5%. Altro esempio:
ridurre del 50%, evidentemente una percentuale importante, una voce di spesa pari
al 10% totale, significa sempre ridurre la spesa totale del 5%. Capite bene,
che queste percentuali abilmente comunicate, possono far credere che ci siano
dei tagli drastici. Immaginate la riduzione del 50% dei costi di ristorazione.
Sembra tanto, ma di fatto la riduzione complessiva è ben modesta. L’unico modo
per ridurre i costi della politica, a parte il tagliare un po’ di teste come
starà pensando qualche lettore, è la drastica riduzione del numero dei politici,
dai parlamentari fino più giù, ai consiglieri di circoscrizione. Immagino per i
parlamentari una riduzione di almeno il 50%, con una vera riduzione dei costi e con altri
benefici effetti collaterali. Per amore di precisione la riduzione dei
parlamentari dai 945 a
circa 480 non comporterebbe un’automatica riduzione del 50% del costo totale,
ma di meno, per ovvie spese generali che non diminuiranno e perché molti
impiegati ormai diventati inutili non saranno messi subito sul lastrico. Oltre
a questo taglio, si dovrebbe procedere comunque all’eliminazione di quelle voci
odiose che fanno giustamente incavolare i cittadini. In tutta onestà, alcune
cose non si riescono proprio a capire. Per esempio, è facile capire le
agevolazioni per i trasporti perché si spera che ogni tanto l’onorevole o il
senatore si sposti da Roma e torni nel collegio di elezione per mantenere il
tanto decantato contatto con il territorio. Altre cose non si capiscono, come
per esempio l’avere a disposizione un ristorante. A che serve? Non ci sono
ristoranti o tavole calde nei pressi di Camera e Senato?
Oltre alla riduzione dei costi, ci sarebbe un ulteriore e
non trascurabile vantaggio che molti non considerano. Con il dimezzamento del
numero dei parlamentari si può sperare in una maggiore efficienza dei processi
decisionali con la riduzione del problema dei cosiddetti peones, ovvero dei
parlamentari sconosciuti o quasi senza un preciso ruolo che vanno a costituire
una sorta di parco buoi non sempre docile ai voleri dei maggiorenti dei partiti.
La gran parte del lavoro si fa in commissione, e chi non ne fa parte,
sostanzialmente, si trova tagliato fuori dai giochi. Se consideriamo gli
avvenimenti politici dell’ultimo anno con la migrazione di tanti parlamentari da
un gruppo ad un altro, potete ben capire che riducendosi il numero, questi
episodi diventano meno consistenti. Qualunque cosa si possa pensare delle
“migrazioni parlamentari”, bisogna ammettere che si tratta di un modo come un
altro per cercare visibilità da parte dei peones. Prima del 14 dicembre chi
conosceva il roboante On. Scilipoti? Se eliminiamo 500 parlamentari quante
migrazioni ci possono essere? Ma non solo. Il problema è molto più semplice.
Meno persone ci sono, più è facile coinvolgerle nei processi decisionali riducendo
il numero degli esclusi, che a volte si vendicano trasformandosi in “franchi
tiratori”.
Riassumendo le varie considerazioni, la riduzione dei
parlamentari è l’unico modo per ridurre in maniera sensibile i costi del
Parlamento con un suo conseguente migliore funzionamento.
Chiudiamo con una provocazione. È proprio opportuno ridurre
le prebende dei parlamentari? Preciso che non parlo dei privilegi smaccatamente
ingiusti, ma del semplice stipendio. Normalmente le aziende private si disputano
i manager migliori o presunti tali, a suon di aumenti di stipendi o bonus vari,
senza arrivare all’esempio dei calciatori dove i campioni vanno letteralmente
all’asta. Diminuire lo stipendio dei politici può attrarre i migliori? Certo
non è un lavoro come un altro, ma razionalmente si può pensare di fare il
parlamentare per 1500-2000 euro al mese? Chi si trasferirebbe a Roma per quella
cifra e per pochi anni? Ci sono disoccupati che preferiscono rimanere nel loro
stato pur di non cambiare città. Certo, bisogna riconoscere che nonostante gli
attuali forti incentivi non sempre sono stati i migliori ad essere selezionati,
anzi il panorama odierno sembra mostrare che la selezione in politica funzioni
al contrario: non viene premiato il merito, ma il suo contrario. Stando così le
cose, domando, una riduzione degli stipendi potrà migliorare la situazione o
peggiorarla? E la carriera politica potrà non attrarre i senza scrupoli
interessanti più al potere di intermediazione della stato e non alla buona
amministrazione?
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