domenica 13 luglio 2014

Il ritorno alla comunicazione scritta

pubblicato la prima volta sul sito de Il Genio Quotidiano il 10 lug 2012

di Vito Foschi

Alcuni anni fa prima della diffusione massiccia delle tecnologie informatiche quali i personal computer, i cellulari ed  Internet si vagheggiava e si temeva la scomparsa della scrittura a favore dell’uso esclusivo dell’oralità e dell’immagine, ma ad oggi ciò non è avvenuto. Si aveva paura che i nuovi mezzi di comunicazione quali il telefono avrebbero fatto scomparire lettere e telegrammi e di conseguenza l’abitudine a scrivere e più in là nel futuro, quando i mezzi l’avrebbero permesso, sarebbe scomparsa completamente la scrittura. Certo oggi, lettere e telegrammi stanno scomparendo, ma a favore di fax e mail e quindi sempre di testi scritti.
Il telefono fisso ha fatto temere la scomparsa della scrittura, ma il cellulare con i suoi SMS ha prodotto l’effetto opposto. Oggi i ragazzi scrivono molti messaggi al giorno. Qualcuno avrà da obiettare che chiamare scrittura il testo sgrammaticato e gergale dei SMS sia una follia, ma d’altro canto come lo si vuole chiamare? È comunque comunicazione scritta per quanto brutta possa essere ed in realtà il suo essere così brutta è dovuto ai limiti di lunghezza imposti dal testo e dalla scomodità nella digitazione. Probabilmente se gli SMS avessero una lunghezza maggiore di 160 caratteri assumerebbero una veste più comprensibile perché non sarebbero necessarie tante abbreviazioni. In fondo, le abbreviazioni delle lettere commerciali come u.s. o vs. non che siano così belle, senza dimenticare che l’uso di accorciare le parole è piuttosto antico quando la fatica di scrivere con penna e calamaio era notevole. Leggere un testo antico è praticamente impossibile senza conoscere le abbreviazioni in uso.
Oggi ci sono dei programmi che permettono di dettare e di ottenere un testo scritto e ci sono anche i programmi per non vedenti che fanno il processo contrario quindi esiste la tecnologia che permetterebbe di evitare la scrittura, ma credo che sia evidente che succede il contrario. L’introduzione del PC in ufficio con la facilità di modificare e correggere testi, di stampare infinite copie, non ha fatto altro che aumentare la produzione di testi scritti. Dopotutto è una questione pratica: se una cosa è gravosa cercherò di evitarla, ma se non mi costa fatica non avrò problemi a farla. Certo si può discutere sulla qualità di quello che si scrive, ormai impera il copia e incolla ad ogni livello, ma è indubbio che la produzione di testi scritti grazie al PC è cresciuta a dismisura; e nota negativa, anche lo spreco di carta.
Un altro uso aziendale ormai dilagante dovuto all’avvento delle tecnologie informatiche è quello delle presentazioni in Powerpoint. Non c’è riunione, convegno, presentazione in cui non sia proiettata una slide multimediale, come se la parola da sola non fosse più sufficiente, e fosse necessario appoggiarsi a qualcosa di scritto per renderla più efficace: anche se si devono dire due parole, una slide in Powerpoint deve essere proiettata.
Consideriamo adesso l’ultimo strumento di comunicazione di massa: Internet. Che cos’è Internet se non scrittura allo stato puro? In fondo il massimo della multimedialità di Internet è il filmato, ma per il resto è testo ed immagine, né più né meno di un qualsiasi codice miniato medievale. I tecnici che si occupano di migliorare i siti, affinché risultino fra i primi risultati nelle ricerche sui motori di ricerca, in sigla inglese SEO, sconsigliano animazioni e altre amenità simili; il più delle volte non interessano al navigatore ed anzi lo possono addirittura irritare perché va alla ricerca di informazioni e quindi di testo scritto e di concentrarsi su quello per attirare navigatori e migliorare la visibilità sui motori di ricerca.
Anche le chat, versione moderna delle chiacchiere, hanno trasformato un’attività puramente orale come le chiacchiere da bar in scrittura cambiando le abitudini di molte persone. Certo, scrivere un SMS non è scrivere una lettera e così la lettura su Internet è una lettura veloce, breve, che non si sviluppa su tempi lunghi e non facilita la concentrazione, ma questo è ben diverso dalla paventata scomparsa della scrittura e del ritorno della oralità come in un vecchio racconto di Isaac Asimov.
Consideriamo, infine, che esistono a fianco di videogiochi iperveloci anche quelli di strategia che hanno dei ritmi di svolgimento ben più lenti che inducono a riflettere sulle proprie ed altrui mosse. Questo ci può far ipotizzare che in qualche modo possano abituare alla concentrazione opponendosi ai tempi frammentati di Internet e della televisione favorendo una lettura più attenta e che si svolga in tempi lunghi.
Forse il tempo della scomparsa della scrittura non è ancora arrivato.

Una mia intervista

Ho il piacere di segnalarvi una intervista fattami da Luigi Angotzi per il blog The Road to Liberty:

http://roadliberty.blogspot.it/2014/07/intervista-vito-foschi-autore-del-libro.html

venerdì 4 luglio 2014

All’ombra della crisi piccoli liberali crescono

In questo vecchio articolo de Lo Spiffero del 2011 vengo citato.

tratto da Lo Spiffero di Sabato 01 Ottobre 2011 (http://www.lospiffero.com/buco-della-serratura/all%27ombra-della-crisi-piccoli-liberali-crescono-2250.html)

Sono i nipotini di Einaudi e Hayek e hanno in Ricossa il loro indiscusso maestro. Sotto la Mole un gruppo di giovani e brillanti studiosi professa (rinverdendola) la rivoluzione liberale: Stato minimo, privatizzazioni, meno tasse, meritocrazia

Colti e disillusi, brillanti ma per il momento in disparte, diffidenti verso ogni forma organizzata di politica politicante. Nei mesi della crisi globale, Torino riscopre grazie ad alcuni giovanissimi interpreti la propria vocazione liberale. Sono i pronipoti di Luigi Einaudi, ma il patrimonio genetico spazia da Thomas Jefferson a Milton Friedman, da Friedrich von Hayek ai concittadini Sergio Ricossa, Bruno Leoni e Enrico Colombatto. La loro bibbia è “La Rivolta di Atlante” di Ayn Rand e come John Galt rivendicano il diritto - e persino il dovere - di vivere perseguendo i propri interessi secondo quell’etica dell’«egoismo razionale» che assegna all’individuo fine e valore in sé. Si riuniscono in gruppi di discussione informali e poco strutturati, come il Tea Party - sulla scorta del movimento nato e affermatosi negli Stati Uniti – oppure Ora Liberale. Il motto è il medesimo per tutti: «Meno Stato, meno tasse, più libertà».

Si oppongono alla presenza sempre più invasiva dello Stato nella vita di ogni singolo individuo, lo "Stato massimo" un Moloch, il Leviatano hobbesiano che determina le regole e poi pretende di giocare la partita, spesso anche senza avversari, come nel caso dei tanti regimi monopolistici ancora esistenti, dai servizi pubblici alle sigarette. «Quando lo Stato diventa imprenditore esercita una concorrenza sleale nei confronti di chi imprenditore lo è davvero e rischia il proprio capitale, non quello della collettività» spiega Riccardo De Caria (nella foto a sinistra), 27 anni, alle spalle una laurea in giurisprudenza, un dottorato e un master alla London Scholl, ricercatore all'Università subalpina.

Affamare la bestia in modo da dare libero sfogo agli ancestrali animal spirits: meno Stato, più mercato, concorrenza, meritocrazia. «Il pubblico ha usurpato la comunità di ogni prerogativa: uccidendo le vecchie società di mutuo soccorso e tutti quei modelli associazionistici che si erano affermati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. A fronte di una tassazione sproporzionata offre dei servizi limitati e spesso inefficienti». A parlare è Domenico Monea, studente di medicina appena 22enne. E se gli si chiede quale possa essere la sua idea di welfare risponde: «Lo Stato oggi è la versione secolarizzata della religione. La gente si aspetta che si sostituisca a Dio e fornisca una risposta a ogni loro esigenza».

Sono in gran parte studenti o professionisti a inizio carriera, hanno un’età che varia tra i 20 e i 30 anni e, a differenza dei loro genitori (politici), non provano alcuna soggezione nei confronti delle ideologie egemoni che, seppur sbrindellate, vanno per la maggiore tra i coetanei. Comunicano attraverso internet, molti di loro hanno già vissuto esperienze lavorative o formative all’estero, come Giovanni Boggero, tra i fondatori, con De Caria, di Ora Liberale e collaboratore del giornale on line Linkiesta, attualmente a Berlino per un dottorato. Hanno vissuto esperienze più o meno travagliate nelle giovanili di partito - dall’Italia dei Valori al Pdl - tutti, però, ne sono usciti, persuasi del fatto che «oggi nessuno è in grado di rappresentare queste istanze» spiega uno dei coordinatori del Tea Party torinese, Vito Foschi. Concordano nel definire l’ultima Finanziaria, lontanissima da ciò che loro professano («abolizione degli ordini professionali, liberalizzazione dei servizi pubblici, dismissione da parte dello Stato e degli enti locali di società e imprese nelle quali detengono delle partecipazioni, sburocratizzazione della pubblica amministrazione, taglio della spesa pubblica, abbattimento delle tasse e misure per favorire la libera imprenditoria») e non escludono un default imminente per l’Italia: «Il che non è detto sia una cattiva notizia – riflette Niccolò Viviani (foto in alto a destra), 22 anni, futuro ingegnere gestionale, considerato un enfant prodige –. Anzi, potrebbe essere l’unica via per rifondare la nostra nazione su presupposti nuovi».