sabato 28 giugno 2014

Salario minimo e tariffe professionali




pubblicato su Il Legno Storto del 30 gennaio 2012


di Vito Foschi

Con il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti, ventilato come capace di impennare il PIL a due cifre, viene abolita la possibilità degli Ordini professionali di definire delle tariffe anche non vincolanti. Dubitiamo fortemente che l’apertura di qualche farmacia in più e qualche incarico a tariffa ribassata per i liberi professionisti possa far aumentare il PIL in modo significativo. Tornando al discorso principale, l’intervento più importante sulle tariffe professionale fu l’abolizione dei minimi in seguito al famoso decreto conosciuto come “le lenzuolate” di Bersani e anche allora venne presentato come fautore di crescita economica e di vantaggi per i consumatori. Sussiste, tuttavia, il sospetto che il vero motivo del decreto non fosse la volontà liberalizzatrice, ma piuttosto un mero calcolo elettorale, colpendo quelli che nell’immaginario finto-proletario sono dei privilegiati: l’invidia sociale usata come strumento di governo nel più classico divide et impera.
Oggi, con l’inflazione di laureati nelle varie discipline è più facile trovare un avvocato o un ingegnere rispetto a un idraulico o a un operaio specializzato e visto che la legge della domanda e della offerta è inesorabile come la legge di gravità, i guadagni sono di conseguenza. Al di là di queste considerazioni sull’invida come motore più potente della razionalità, come liberali non possiamo non essere favorevoli all’abolizione dei minimi, ma aggiungendoci l’abolizione degli ordini tout court facendo nostre le considerazioni di Milton Friedman esposte nel suo bel libro Capitalismo e Libertà.
Per amore di precisione confesso di essere iscritto ad un ordine e quindi di essere un po’ in conflitto di interressi con me stesso, però questo mi permette di offrire una riflessione diversa. Sono un ingegnere informatico e l’informatica è materia non regolamentata quindi l’iscrizione all’ordine è del tutto inutile ed anzi è una tassa in più da pagare ogni anno. Risulterebbe più utile pagare, per esempio, un’associazione che organizzasse un paio di cene di lavoro all’anno. Diciamo ciò, perché a volte sembra che gli ordini siano tutti uguali, o comunque degli organismi dotati di chissà quali poteri e privilegi da dispensare agli iscritti. Se pagare per non avere nulla in cambio si possa definire un privilegio…
Vorrei però affrontare il problema delle tariffe in termini più generali astraendo dalle contingenze storiche per poter fare un ragionamento più razionale possibile. Le tariffe rappresentano sicuramente un ostacolo alla concorrenza rappresentando un’ingiustizia per chi pur di lavorare, sarebbe disposto a guadagnare di meno e un danno per i consumatori. Oltre a ciò, con i prezzi più bassi le persone che hanno la possibilità ad accedere ai servizi professionali sarebbero in numero maggiore allargando il mercato. Proviamo, però, ad affrontare il problema da un diverso punto di vista. Le tariffe non sono altro che il guadagno del libero professionista, che essendo sostanzialmente un lavoratore intellettuale non impiega né materie prime né impianti. In qualche modo eccetto il vincolo di dipendenza, che attualmente, visto le condizioni di mercato, è per assurdo più vincolante per il libero professionista che per il dipendente, potrebbe essere paragonato ad un lavoratore qualsiasi. Le tariffe, in breve, possono essere paragonate ai salari di tutti gli altri lavoratori. E qui nasce un assurdo. Se le tariffe sono una sorta di salario, se aboliamo le tariffe minime non dovremmo abolire il salario minimo? Tanto più, che attualmente un libero professionista, ha ben poco potere contrattuale nei confronti del cliente e probabilmente il dipendente si trova in una situazione di forza maggiore. Capovolgendo il discorso, se un dipendente deve guadagnare un giusto compenso e questo viene deciso dalla contrattazione collettiva perché ciò non deve sussistere per i liberi professionisti? Tra l’altro i lavoratori hanno alle loro spalle sindacati e partiti, mentre i liberi professionisti solo la loro forza professionale e nulla più: se lavorano possono mangiare, altrimenti finiscono sotto i ponti. Considerato che i professionisti non hanno né cassa integrazione, né disoccupazione, né rimborsi per il lavoro non svolto a causa di malattie, non mi sembrano che siano così privilegiati; anzi, molti giovani professionisti cambierebbero la loro condizioni con quella di un qualsiasi dipendente. Non si capisce con quale criterio logico si chieda l’abolizione delle tariffe minime a fronte di una sostanziale imposizione di salari minimi; se tariffe e salari non sono altro che il compenso del lavoro di una persona, non si capisce perché questa pesante discriminazione. Da un certo punto di vista, ciò potrebbe dare ragioni a molti professionisti che richiedono maggiori tutele e il ripristino delle tariffe minime, che non farebbero altro che renderli simili a tutti gli altri lavoratori. Simili, ma non uguali perché rimarrebbe sul loro groppone sempre il rischio di impresa. Chiaramente questa è un’impostazione sindacale, forse anche scusabile da parte dei professionisti, che oltre a vedersi decurtati i guadagni dall’eccesso di offerta si vedono anche bistrattati dalle leggi e volendo essere ripetitivi solo per invidia sociale. Quindi ripristiniamo i minimi tariffari? Certamente no, la soluzione è ben altra ed è quella liberale: abolire sia i minimi salariali, sia i minimi tariffari. In una società libera, i monopoli legali e gli ostacoli legali alle libere scelte delle persone dovrebbero essere aboliti. Sfugge alla comprensione il motivo per cui è giusto che un libero professionista possa lavorare per una cifra inferiore a quella delle tariffe minime, mentre un dipendente non possa accettare una stipendio inferiore al minimo. Qual è la differenza? Da un lato si predica la concorrenza per i professionisti e poi si pongono ostacoli per i dipendenti. Consideriamo anche che, fortunatamente, la fantasia umana non ha confini e tariffe minime e minimi salariali vengono aggirati. Chi propone l’abolizione delle tariffe minime dovrebbe di converso chiedere l’abolizione dei salari minimi. Se è ingiusta una cosa è ingiusta l’altra. Se le tariffe minime sono una barriera all’entrata per i giovani professionisti, i salari minimi sono una barriera all’entrata per i giovani lavoratori, con la sostanziale differenza che le tutele per i dipendenti non hanno confronto con le inesistenti tutele dei liberi professionisti. Curiosamente, chi continuamente mena per aria la costituzione, di fatto, si prodiga  per la nascita di pesanti discriminazioni, creando robuste gabbie fra chi lavora, da cui ognuno guarda in cagnesco il vicino racchiuso in diversa gabbia. La legge è uguale per tutti o solo per chi ci è simpatico?

Nessun commento:

Posta un commento