domenica 4 novembre 2012

Riformare le pensioni è cosa buona e giusta



Pubblicato su Lo Spiffero il 7 settembre 2011

di Vito Foschi
 
Dopo l’ennesimo crollo della borsa con il differenziale fra Bund e Btp tornato ai massimi, il governo continua a rimaneggiare la finanziaria con interventi, i più vari, ma che ricordano il vecchio Visco. Fra le varie proposte, che si sono succedute nei giorni scorsi, c’è stata quella di rimettere mano alla riforma pensionistica al fine di anticiparne i tempi di attuazione, in modo tale da ottenere prima i risparmi previsti. Si sarebbe trattato, per esempio, di antipare ad oggi il requisito dei 65 anni per andare in pensione eliminando la gradualità esistente nella legge attuale. È un’idea con cui concordiamo e che avrebbe contribuito a rassicurare i mercati; porterebbe a un sicuro risparmio per le casse dello Stato ripetuto nel tempo e non una sola volta come il famigerato contributo di solidarietà o il condono. Proposta, peraltro, di facile attuazione e che non sarebbe andata a colpire i cittadini con nuove tasse e balzelli.
Al di là dei risparmi economici e della riduzione del debito pubblico, sarebbe stata anche, se il lettore vorrà perdonarci il linguaggio un po’ sindacale, anche una misura di equità. Infatti, chi oggi è relativamente giovane, andrà in pensione nelle migliori delle ipotesi a 65 anni con una pensione molto bassa, chi invece è avanti negli anni, può ancora andare in pensione prima dei 65 e con una pensione relativamente alta. Un’accelerazione della riforma ridurrebbe questa discriminazione basata sull’anno di nascita. Attualmente i conti dell’INPS appaiono in positivo grazie all’apporto dei precari, che versano dei contributi senza aver diritto a quasi nessuna prestazione: i soldi della cosiddetta gestione separata, ovvero dei precari, vanno a coprire i buchi delle altre gestioni.
Volendo fare i conti della serva, il sistema pensionistico trasferisce ricchezza dai precari a chi ha un posto fisso. Se vi sembra giusto questo.
Ricordiamo l’abolizione del cosiddetto scalone, ovvero l’innalzamento immediato a 60 anni al 31 dicembre 2007 dell’età per andare in pensione e costato secondo alcune stime 10 miliardi di euro. Fu attuato dal governo Prodi a scapito dei precari che si videro innalzati i contributi da versare sui contratti a progetto. Così i giovani si sono trovati una busta paga ridotta, per poter fare andare in pensione, uno o due anni prima, i genitori dotati di un super protetto contratto a tempo indeterminato.
La riforma pensionistica è sbilanciata nei confronti dei giovani che sono costretti quasi da soli a ripianare il deficit INPS, mentre chi è in pensione o è avanti negli anni è in qualche modo protetto, godendo ancora dei passati vantaggi. Riformare le pensioni non solo genera risparmi, ma è soprattutto un atto di giustizia nei confronti dei giovani.

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