Il mio libro di favole, "Il papà racconta" è stato recensito da Legnano News. Ecco a voi il link:
http://www.legnanonews.com/news/1/44005/
Buon Natale.
Vito Foschi
giovedì 25 dicembre 2014
sabato 20 dicembre 2014
I titoli delle fiabe del mio libro
Il drago starnutente
Il topolino bianco
Lo scoiattolo pigro
Le cavallette salterine
I maiali e i cinghiali
La fata golosa
Il nano pasticcione
Il Folletto Burlone
L’Elfo miope
Il fabbro felice
I monelli e la strega del mare
Il principe capriccioso
Il topolino bianco
Lo scoiattolo pigro
Le cavallette salterine
I maiali e i cinghiali
La fata golosa
Il nano pasticcione
Il Folletto Burlone
L’Elfo miope
Il fabbro felice
I monelli e la strega del mare
Il principe capriccioso
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mercoledì 10 dicembre 2014
Il mio secondo libro: Il papà racconta
Ho il piacere di annunciarvi la pubblicazione del mio secondo libro. Questa volta non mi occupo di politica, ma bensì di favole. Ispirate alla mia esperienza di papà e alla lettura serale di favole a mio figlio, vero motorre immobile di questo libro. Lo potete scaricare al seguente indirizzo:
http://www.lionmedia.it/shop/?prodotto=il-papa-racconta
Sicuramente un bel regalo di Natale per i più piccoli, ma anche per i grandi.
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Sicuramente un bel regalo di Natale per i più piccoli, ma anche per i grandi.
martedì 25 novembre 2014
L'irresponsabilità dei burocrati
La paura dell'arbitrio personale ha creato il desiderio di un potere impersonale, astratto e di conseguenza, illudendosi, giusto. Per forza di cosa la burocrazia è tortuosa, nebulosa e oscura. Serve proprio a rendere il potere quanto più impersonale possibile e a rendere i burocrati semplici esecutori di una volontà superiore e imperscrutabile e pertanto giusta. Con questi assunti i burocrati non possono che essere che deresponsabilizzati.
domenica 26 ottobre 2014
Stato e violenza
Quando si ragiona di politica, per quanto retorica si possa fare, si ragiona di come organizzare la violenza. La ricetta statalista prevede la concentrazione dell'uso della violenza in un unico soggetto monopolista entro un ben preciso territorio. Per quanto ci si possa sforzare per inventare e realizzare meccanismi di controllo di tale soggetto monopolista basati o meno sul consenso, rimane una sproporzione, un abisso incolmabile tra cittadino e stato: da una parte l'individuo indifeso dall'altra parte un potere senza limite e irrefrenabile.
martedì 21 ottobre 2014
Di nuovo online i miei articoli pubblicati sul LegnoStorto
Su LSblog, nella sezione Heri Dicebamus sono stati recuperati i vecchi articoli del LegnoStorto, tra cui i miei. E' sufficiente impostare come autore Vito Foschi nel form di ricerca.
http://www.lsblog.it/index.php/heri-dicebamus
Buona lettura!
lunedì 20 ottobre 2014
Aforisma 1
Dove alligna lo stato, muoiono le comunità
domenica 19 ottobre 2014
Il diritto di resistenza nel catechismo della Chiesa Cattolica
Riporto due articoli del catechismo della Chiesa Cattolica che esplicano in maniera chiara il diritto di resistenza, ovvero del diritto dell'individuo a resistere al potere ingiusto. Ne parlo anche nel mio libro nel capitolo "I cattolici e il censimento". Per chi non lo avesse ancora fatto il libro è scaricabile dal seguente link:
http://www.lionmedia.it/shop/?product=piccolo-manuale-della-liberta
Catechismo della Chiesa Cattolica:
2242 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” ( Mt 22,21 ). “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” ( At 5,29 ).
2243 La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori.
Precisiamo che anche San Tommaso afferma: «Chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio».
http://www.lionmedia.it/shop/?product=piccolo-manuale-della-liberta
Catechismo della Chiesa Cattolica:
2242 Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” ( Mt 22,21 ). “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” ( At 5,29 ).
2243 La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori.
Precisiamo che anche San Tommaso afferma: «Chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio».
domenica 5 ottobre 2014
Gli Ordini e la Manovra
pubblicato su "Il
Legno Storto" il 15 luglio 2011;
di Vito Foschi
In questi giorni di turbolenze sui mercati con il
differenziale fra Bund e Btp ai massimi, e con il rendimento dei Bot al 3,67%
si è stati costretti ad approvare la manovra finanziaria in tutta fretta per
evitare conseguenze ben peggiori. Un aumento dei tassi interessi oltre a
causare un aumento dei costi di finanziamento del debito pubblico rischiando di
vanificare gli effetti della manovra provoca il deprezzamento del valore dei
BTP che debbono allinearsi al nuovo tasso. Questo aggrava i problemi delle
banche italiane grande detentrici di BTP. Di fatto si troverebbero nella
necessità di svalutare i titoli che hanno in pancia con le ovvie ripercussioni
sul valore delle loro azioni. Insomma un effetto a catena dagli effetti
quantomeno pericolosi.
In questo contesto si è inserita la discussione della
finanziaria e dell’ormai famigerato emendamento che introduceva l’art. 39 bis che
avrebbe abolito gli ordini professionali e liberalizzato il settore delle
professioni. Questo emendamento ha scatenato l’ira dei parlamentari avvocati e
notai appartenenti al Pdl che hanno minacciato di non votare la fiducia alla
finanziaria se non veniva bloccato il famoso art. 39 bis. A loro si sono
aggiunti i rappresentanti delle professioni minacciando scioperi e
stracciandosi le vesti per il fatto di essere stati equiparati alle imprese. Su
quest’ultimo punto, chiederei ai liberi professionisti se lavorano per la
gloria e non per portare la pagnotta a casa come tutti gli altri uomini e donne.
Al di là di considerazioni sulla necessità o meno
dell’abolizione degli ordini professionali, istituiti, non dimentichiamolo, dal
regime fascista, ed il Tea Party si schiera apertamente con l’abolizione e per
un sistema di libere associazioni in concorrenza fra loro, quello che colpisce
è la difesa corporativa ad oltranza. Nella situazione di emergenza che stiamo
vivendo in questi giorni, con il non tanto remoto rischio di default, colpisce
l’ostinazione degli ordini che antenpogono i loro interessi personali a quelli
del paese. Anche le opposizioni con tutti le giravolte del caso hanno in
qualche modo offerto la loro collaborazione di fronte all’emergenza. Invece
avvocati e notai di fronte all’emergenza cosa fanno? Minacciano di non votare
la manovra. Siamo ragionevoli e quindi capiamo la difesa corporativa, ma di
fronte al rischio di default, la cosa lascia sinceramente allibiti.
Infine l’emendamento è stato stralciato dalla finanziaria
ripiegando su una più generica riforma da fare più in là e questo la dice lunga
sul potere di interdizione degli ordini professionali. Questo fa nascere seri
dubbi sulla reale possibilità di fare una riforma degli ordini professionali.
Se di fronte al rischio default è prevalso l’interesse corporativo, in una
situazione normale cosa potranno fare Parlamento e Governo? Ci si chiede se il
Parlamento rappresenti veramente gli elettori o se sia solo una dipendenza
degli ordini professionali, perché di fatto hanno dimostrato un’enorme potere
di interdizione, in particolare avvocati e notai.
Considerato ciò, ci permettiamo di chiedere ai rappresentanti
di tali categorie di far approvare un emendamento per una sforbiciata alle
tasse, per l’eliminazione delle provincie ed infine, dato che le imprese fanno
loro orrore, per privatizzare Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Rai.
Concludendo, questo emendamento è l’emblema della situazione
italiana, dove il potere di interdizione delle lobbies blocca qualsiasi
possibilità seria di riforma lasciando sprofondare il paese sempre più nella
stagnazione economica e nei debiti.
sabato 27 settembre 2014
L'insorgenza antifrancese del Circeo
Vi segnalo questo mio lavoro pubblicato su LaCritica.org sull'insorgenza antifrancese nel Circeo:
Fra i vari eventi spesso trascurati a scuola o comunque trattati in maniera superficiale, vittime di una visione della storia come evoluzione lineare verso la modernità, c’è quello delle cosiddette insorgenze antifrancesi. Con il termine “insorgenza” si vuole descrivere quei fenomeni spontanei di ribellione alle autorità contrapponendosi a quello di rivolta che presuppone un’organizzazione e un intento politico...prosegue qui
Fra i vari eventi spesso trascurati a scuola o comunque trattati in maniera superficiale, vittime di una visione della storia come evoluzione lineare verso la modernità, c’è quello delle cosiddette insorgenze antifrancesi. Con il termine “insorgenza” si vuole descrivere quei fenomeni spontanei di ribellione alle autorità contrapponendosi a quello di rivolta che presuppone un’organizzazione e un intento politico...prosegue qui
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domenica 7 settembre 2014
Italiani nella guerra civile americana
pubblicato su Archeologia
& Cultura del 17 luglio 2011
di Vito Foschi
Le vicende che riguardano gli Stati Uniti d’America e il
continente americano in generale ci sembrano lontane, spesso considerate solo
ottimo sfondo per film e telefilm. In realtà, la presenza italiana nelle
americhe è stata piuttosto massiccia, purtroppo figlia dell’emigrazione e le
varie comunità di italiani hanno acquisito non poco peso nella storia di quei
lontani paesi.
Una di quelle vicende che sembra lontana anni luce dalla
nostra storia è la guerra civile americana, indubbiamente nota ai più
attraverso svariati film, ma che vide combattere anche gli italiani in ambedue
gli schieramenti e in qualche modo lambì anche Giuseppe Garibaldi.
Gli immigrati italiani furono reclutati sia a nord che a sud,
ma la maggior parte era nel nord e così l’esercito dell’Unione poté costituire
due unità di soldati italiani, la “Italian Legion” e la “Garibaldi Guards”.
Situazione diversa per gli italiani arruolati nell’esercito confederato, in
gran parte ex militari del Regno delle Due Sicilie. Il neonato regno d’Italia
volle risolvere il problema dei prigionieri borbonici permettendo loro di
arruolarsi nell’esercito confederato. Arrivarono in America con tre navi fra il
dicembre 1860 e i primi mesi del 1861 e per ironia della sorte vennero
inquadrati nella “Garibaldi Guards - Italian battalion Louisiana Militia”, che
dopo le prevedibili proteste, nel 1862 cambiò nome diventando “Sesto Reggimento
European Brigade”. Sarebbe stato il colmo, per uomini che avevano combattuto
Garibaldi e pativano per lui la prigione, combattere in una formazione che
portava il nome dell’Eroe dei due mondi. Curioso destino per i soldati
borbonici, combattere in due eserciti perdenti e ambedue geograficamente del
sud.
Gli italiani parteciparono a varie battaglie ed ebbero modo anche
di battersi fra loro, quando le unità di italiani dell’esercito unionista e
quelle dell’esercito confederato si scontrarono nella battaglia di Winchester
nel settembre 1862 e in quel caso fu l’esercito del sud ad avere la meglio. Alcuni
italiani si distinsero per valore, come per esempio il sergente John Garibaldi,
di cui si conservano parecchie lettere e che fu seppellito nel cimitero di
Lexington, assieme ai generali Lee e Jackson, due eroi degli stati del Sud.
Fra i morti italiani, purtroppo vanno inclusi due italiani
vittime di un episodio simile a quello più noto di Sacco e Vanzetti. Per dare
una lezione a possibili disertori, si pensò bene di arrestare cinque soldati a caso
che non parlavano inglese, istituire un processo farsa e fucilarli. Fra questi
furono presi anche due italiani, Giovanni Falaci, 26 anni e Giuseppe Rionese,
20 anni.
Un’ultima nota la dedichiamo a Garibaldi che fu invitato a
guidare l’esercito nordista: l’uso del nome di Garibaldi in ambedue gli
schieramenti fa intuire la notorietà del personaggio negli Stati Uniti.
All’apertura dell’ostilità l’esercito dell’Unione subì una clamorosa sconfitta
nella battaglia di Bull Run gettando nello sconforto la truppa. Il presidente
Lincoln conscio di non avere ufficiali in grado di motivare le truppe pensò di
mandare a chiamare Garibaldi, fresco reduce dell’impresa dei Mille. La causa
del nord, con l’idea di abolire la schiavitù, poteva sollecitare l’eroe
italiano, ma al di là della facciata, la guerra civile americana si combatté
per ben altro. Per il nord, era l’idea di uno federazione centralista che
limitava i diritti dei singoli stati, mentre per il sud era in gioco il diritto
di ogni singolo stato di secedere dall’unione, prendendo alla lettera la dichiarazione
di indipendenza del 1776: “Queste
Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti…e
come Stati liberi e indipendenti essi hanno pieno potere di fare la guerra,
stipulare la pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti
gli altri atti che gli Stati indipendenti possono fare a buon diritto”.
Probabilmente questo fu chiaro a Garibaldi e in qualche modo condizionò la sua
scelta di non partecipare. Inoltre aveva chiesto al presidente Lincoln il comando
in capo, cosa che ovviamente non gli poteva essere concesso.
domenica 10 agosto 2014
La festa continua alla Circoscrizione 9 di Torino
pubblicato su L'Elzevirista,
31 gennaio 2012
di Vito Foschi
Come molti di voi sanno il comune di Torino di dibatte in
una marea di debiti a cui il sindaco Fassino cerca di metter mani con
arzigogolate operazioni finanziarie cercando di mandare avanti la baracca senza
rinunciare agli appetitosi posti dei consigli di amministrazioni delle
controllate comunali. Ebbene, quando si esaminano le spese del comune ed in
particolare delle circoscrizioni si scopre una realtà diversa trovandosi di
fronte ad elargizioni di fondi come se nulla fosse. Il comune è pieno di debiti
o è tutta una finzione? Eccovi un elenco di alcune delibere delle
Circoscrizione 9:
Oggetto: C. 9 - ART.42 COMMA 3 - INIZIATIVE NATALIZIE.
APPROVAZIONE CONTRIBUTO ALLE ASSOCIAZIONI COMMERCIANTI DI EURO 21.500,00.
Oggetto: C.9 - ART. 42 COMMA 2 - PROGETTO «FESTA DI
NATALE 2011». CONTRIBUTI ALLE ASSOCIAZIONI «MONTEVIDEO» E
«L`ANCORA» PER UN IMPORTO COMPLESSIVO DI EURO 2.400,00.
Doc.
n. 100/2011
2011 06738/092
approvata il 01 dicembre
Oggetto: C.9 - ART. 42 COMMA 2 - "INCONTRIAMOCI A NATALE 2011". INIZIATIVA RICREATIVA DEDICATA ALLA FESTIVITA' NATALIZIA. APPROVAZIONE CONTRIBUTO DI EURO 12.300,00 ALL'ASSOCIAZIONE KAPPADUE.
2011 06738/092
approvata il 01 dicembre
Oggetto: C.9 - ART. 42 COMMA 2 - "INCONTRIAMOCI A NATALE 2011". INIZIATIVA RICREATIVA DEDICATA ALLA FESTIVITA' NATALIZIA. APPROVAZIONE CONTRIBUTO DI EURO 12.300,00 ALL'ASSOCIAZIONE KAPPADUE.
Doc.
n. 99/2011
2011 06777/092
approvata il 01 dicembre
Oggetto:C.9 ART. 42 COMMA 2 - "PROGETTO DI VALORIZZAZIONE DELLA CORORCHESTRA VIANNEY" (CONCERTI NATALIZI). CONTRIBUTO ALL'ASSOCIAZIONE DILETTANTISTICA POLISPORTIVA VIANNEY DI EURO 1.500,00.
2011 06777/092
approvata il 01 dicembre
Oggetto:C.9 ART. 42 COMMA 2 - "PROGETTO DI VALORIZZAZIONE DELLA CORORCHESTRA VIANNEY" (CONCERTI NATALIZI). CONTRIBUTO ALL'ASSOCIAZIONE DILETTANTISTICA POLISPORTIVA VIANNEY DI EURO 1.500,00.
Se si sommano tutte le cifre, i fondi totali dedicati alle
feste di Natale 2011 è di ben 37.700,00. Insomma quasi quarantamila euro per le feste di Natale. Ma le finanze
del comune non versano in cattive acque? È comprensibile che i politici
pressati da richieste più o meno legittime di elettori e gruppi di pressione
cedano alle lusinghe del classico feste, farina e forche, ma almeno in tempo di
crisi sarebbe auspicabile un comportamento più responsabile e meno cedevole.
Guardiamo quest’altra delibera:
Oggetto: C.9- ART. 42 COMMA 2- PROGETTO "DISTRIBUZIONE
PASTI A PREZZO AGEVOLATO ALLE PERSONE ANZIANE O IN DIFFICOLTA'" -
CONTRIBUTO ALL'ASSOCIAZIONE POLISPORTIVA VIANNEY DI EURO 3.000,00.
Sicuramente un iniziativa encomiabile dare un pasto caldo a
chi ne ha bisogno, ma è piuttosto stridente
la differenza fra tremila euro destinati ai poveri e i quasi trentottomila
destinati a feste e festini, in particolare in tempo di vacche magre. Non
credo sia necessario aggiungere altro.
mercoledì 6 agosto 2014
La guerra tra Russia e Polonia (1919-1921) fu teatro dell’ultima battaglia combattuta con la cavalleria
Pubblicato su Archeologia & Cultura n. del 7 novembre 2010
di Vito Foschi
La guerra, che nel 1919 oppose la Polonia alla nascente
potenza sovietica, è uno di quegli avvenimenti che finiscono nel novero dei
fatti minori, a volte trascurati nei manuali scolastici; ovviamente non tutti
gli accadimenti hanno lo stesso peso nello svolgimento della storia e un
percorso scolastico è per sua natura non esaustivo, però alcuni di questi meritano
attenzione perché aiutano a comprendere meglio gli avvenimenti generali. Considerazione
immediata è che la guerra sovietica-polacca rende palese che il trattato di
Versailles, che pose fine alla I guerra mondiale, è abbastanza vacillante e contiene
già i prodromi di quella che sarà la
II guerra mondiale. Inoltre lo scontro sovietico-polacco rivelò
al mondo la volontà imperiale della nascente Unione Sovietica e scatenò i
realistici timori del resto d’Europa. L’idea di Lenin con il tentativo di
invasione della Polonia era di raggiungere la Germania ove si
svolgevano delle agitazioni di operai per poter esportare la rivoluzione
bolscevica nell’Europa occidentale.
A volte riesce difficile capire la nascita di fenomeni complessi
come fascismo e nazismo, ma che tra l’altro, hanno abilmente saputo sfruttare
la paura del comunismo per quanto non si discostassero da quest’ultimo per volontà
di potenza e brutalità e fu sicuramente gioco facile per i nazisti agitare lo
spettro di un’invasione sovietica visto il precedente.
Anche l’invasione dell’Unione Sovietica da parte della
Germania nazista, la famosa operazione Barbarossa, per quanto possa apparire
sbagliato aprire un secondo fronte, poteva trovare ragione d’essere nella paura
di una invasione sovietica e nel tentativo di prevenirla. Insomma un’applicazione
del vecchio adagio: la migliore difesa è l’attacco; e d’altronde l’URSS nel
frattempo si era presa mezza Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania e dichiarato
guerra alla Finlandia.
Accenniamo agli avvenimenti della guerra sovietica-polacca e
di come il giovane stato polacco senza gli aiuti delle altre nazioni europee
riuscì a fermare l’Unione Sovietica. Questa clamorosa vittoria creò l’illusione
nell’esercito polacco di poter fronteggiare con facilità gli eserciti sovietico
e nazista.
La nazione polacca alla vigilia della I guerra mondiale
risultava divisa fra gli imperi tedesco, austroungarico e russo. Con il crollo
degli imperi si poneva il problema della “sistemazione” di quei territori
appartenuti ai tre imperi. La pace di Versailles lasciò indefiniti i confini
orientali della Polonia, non è chiaro se per un subdolo calcolo sul futuro
politico della Russia. In caso di vittoria dei bolscevichi si sarebbe assegnato
il massimo territorio possibile alla Polonia in funzione antibolscevica mentre
in caso di vittoria dei bianchi le aspirazioni territoriale polacche sarebbero
state ridimensionate. La situazione era piuttosto confusa, da un lato un
confine incerto dall’altra una guerra civile ed in più le truppe tedesche che
occupavano la zona orientale smobilitarono creando una pauroso vuoto di potere.
Nell’ex impero russo la guerra civile fra comunisti e i cosiddetti bianchi
volge a favore dei primi. In questa situazione incandescente scoppiò la guerra.
Nel 1919 ci furono le prime scaramucce fra i due eserciti proprio per occupare
quelle zone orientali senza più controllo. A questo punto la guerra può ancora
essere evitata, ma i polacchi intercettano varie notizie su un piano di
invasione sovietico. Una cosa è certa, la volontà dei bolscevichi di esportare
la rivoluzione a livello mondiale in quel momento, per approfittare della
debolezza degli stati europei prostrati dalla guerra appena conclusa. In ogni
caso nel 1920 l’esercito polacco aiutato da un’armata ucraina lancia un’offensiva
che raggiunge Kiev.
La reazione dei sovietici non si fece attendere e l’immensità
del territorio russo e delle sue risorse fece sentire il suo peso. I sovietici
spostarono a tappe forzate l’Armata a Cavallo e riuscirono a ricacciare i
polacchi e i loro alleati arrivando alle porte di Varsavia. I polacchi
offrivano una strenua resistenza all’esercito sovietico e riuscirono a
contrattaccare: nel giorno del 15 agosto riescono a fermare l’esercito
sovietico alle porte di Varsavia, mentre una seconda armata veniva sconfitta
sulla Bassa Vistola. A fine agosto nella battaglia di Komarov, ultima grande
battaglia di cavalleria della storia, sconfissero definitivamente i sovietici
che iniziarono a ritirarsi.
L’inaspettata vittoria contro un esercito dotato di più
risorse da parte della nascente nazione
polacca senza aiuti di altri stati europei e per le implicazioni religiose,
venne considerato un miracolo e la battaglia di Varsavia fu soprannominata il
miracolo della Vistola. In effetti, se la Polonia non avesse retto l’urto sovietico le
armate comuniste sarebbero dilagate in Europa con l’appoggio dei vari partiti e
movimenti comunisti nazionali; per questo e per le implicazioni già menzionate
la guerra sovietico-polacco merita sicuramente di essere ricordata. Dopo una
serie di scaramucce fra i due eserciti si firmò il tratto di pace il 20 ottobre
1921 e così si pose fine alla guerra sovietica-polacca. Un particolare curioso:
nella Santa Casa di Loreto nella cappella polacca si può vedere l’affresco che
testimonia la vittoria polacca.
domenica 13 luglio 2014
Il ritorno alla comunicazione scritta
pubblicato la prima volta sul sito de Il Genio
Quotidiano il 10 lug 2012
di Vito Foschi
Alcuni anni fa prima della diffusione massiccia delle
tecnologie informatiche quali i personal computer, i cellulari ed Internet si vagheggiava e si temeva la
scomparsa della scrittura a favore dell’uso esclusivo dell’oralità e
dell’immagine, ma ad oggi ciò non è avvenuto. Si aveva paura che i nuovi mezzi
di comunicazione quali il telefono avrebbero fatto scomparire lettere e
telegrammi e di conseguenza l’abitudine a scrivere e più in là nel futuro, quando
i mezzi l’avrebbero permesso, sarebbe scomparsa completamente la scrittura.
Certo oggi, lettere e telegrammi stanno scomparendo, ma a favore di fax e mail
e quindi sempre di testi scritti.
Il telefono fisso ha fatto temere la scomparsa della
scrittura, ma il cellulare con i suoi SMS ha prodotto l’effetto opposto. Oggi i
ragazzi scrivono molti messaggi al giorno. Qualcuno avrà da obiettare che
chiamare scrittura il testo sgrammaticato e gergale dei SMS sia una follia, ma
d’altro canto come lo si vuole chiamare? È comunque comunicazione scritta per
quanto brutta possa essere ed in realtà il suo essere così brutta è dovuto ai
limiti di lunghezza imposti dal testo e dalla scomodità nella digitazione.
Probabilmente se gli SMS avessero una lunghezza maggiore di 160 caratteri
assumerebbero una veste più comprensibile perché non sarebbero necessarie tante
abbreviazioni. In fondo, le abbreviazioni delle lettere commerciali come u.s. o
vs. non che siano così belle, senza dimenticare che l’uso di accorciare le parole
è piuttosto antico quando la fatica di scrivere con penna e calamaio era
notevole. Leggere un testo antico è praticamente impossibile senza conoscere le
abbreviazioni in uso.
Oggi ci sono dei programmi che permettono di dettare e di
ottenere un testo scritto e ci sono anche i programmi per non vedenti che fanno
il processo contrario quindi esiste la tecnologia che permetterebbe di evitare
la scrittura, ma credo che sia evidente che succede il contrario.
L’introduzione del PC in ufficio con la facilità di modificare e correggere
testi, di stampare infinite copie, non ha fatto altro che aumentare la
produzione di testi scritti. Dopotutto è una questione pratica: se una cosa è
gravosa cercherò di evitarla, ma se non mi costa fatica non avrò problemi a
farla. Certo si può discutere sulla qualità di quello che si scrive, ormai
impera il copia e incolla ad ogni livello, ma è indubbio che la produzione di
testi scritti grazie al PC è cresciuta a dismisura; e nota negativa, anche lo
spreco di carta.
Un altro uso aziendale ormai dilagante dovuto all’avvento
delle tecnologie informatiche è quello delle presentazioni in Powerpoint. Non
c’è riunione, convegno, presentazione in cui non sia proiettata una slide
multimediale, come se la parola da sola non fosse più sufficiente, e fosse
necessario appoggiarsi a qualcosa di scritto per renderla più efficace: anche
se si devono dire due parole, una slide in Powerpoint deve essere proiettata.
Consideriamo adesso l’ultimo strumento di comunicazione di
massa: Internet. Che cos’è Internet se non scrittura allo stato puro? In fondo
il massimo della multimedialità di Internet è il filmato, ma per il resto è
testo ed immagine, né più né meno di un qualsiasi codice miniato medievale. I
tecnici che si occupano di migliorare i siti, affinché risultino fra i primi
risultati nelle ricerche sui motori di ricerca, in sigla inglese SEO,
sconsigliano animazioni e altre amenità simili; il più delle volte non
interessano al navigatore ed anzi lo possono addirittura irritare perché va
alla ricerca di informazioni e quindi di testo scritto e di concentrarsi su
quello per attirare navigatori e migliorare la visibilità sui motori di
ricerca.
Anche le chat, versione moderna delle chiacchiere, hanno
trasformato un’attività puramente orale come le chiacchiere da bar in scrittura
cambiando le abitudini di molte persone. Certo, scrivere un SMS non è scrivere
una lettera e così la lettura su Internet è una lettura veloce, breve, che non
si sviluppa su tempi lunghi e non facilita la concentrazione, ma questo è ben
diverso dalla paventata scomparsa della scrittura e del ritorno della oralità
come in un vecchio racconto di Isaac Asimov.
Consideriamo, infine, che esistono a fianco di videogiochi
iperveloci anche quelli di strategia che hanno dei ritmi di svolgimento ben più
lenti che inducono a riflettere sulle proprie ed altrui mosse. Questo ci può
far ipotizzare che in qualche modo possano abituare alla concentrazione opponendosi
ai tempi frammentati di Internet e della televisione favorendo una lettura più
attenta e che si svolga in tempi lunghi.
Forse il tempo della scomparsa della scrittura non è ancora
arrivato.
Una mia intervista
Ho il piacere di segnalarvi una intervista fattami da Luigi Angotzi per il blog The Road to Liberty:
http://roadliberty.blogspot.it/2014/07/intervista-vito-foschi-autore-del-libro.html
http://roadliberty.blogspot.it/2014/07/intervista-vito-foschi-autore-del-libro.html
venerdì 4 luglio 2014
All’ombra della crisi piccoli liberali crescono
In questo vecchio articolo de Lo Spiffero del 2011 vengo citato.
tratto da Lo Spiffero di Sabato 01 Ottobre 2011 (http://www.lospiffero.com/buco-della-serratura/all%27ombra-della-crisi-piccoli-liberali-crescono-2250.html)
Sono i nipotini di Einaudi e Hayek e hanno in Ricossa il loro indiscusso maestro. Sotto la Mole un gruppo di giovani e brillanti studiosi professa (rinverdendola) la rivoluzione liberale: Stato minimo, privatizzazioni, meno tasse, meritocrazia
Affamare la bestia in modo da dare libero sfogo agli ancestrali animal spirits: meno Stato, più mercato, concorrenza, meritocrazia. «Il pubblico ha usurpato la comunità di ogni prerogativa: uccidendo le vecchie società di mutuo soccorso e tutti quei modelli associazionistici che si erano affermati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. A fronte di una tassazione sproporzionata offre dei servizi limitati e spesso inefficienti». A parlare è Domenico Monea, studente di medicina appena 22enne. E se gli si chiede quale possa essere la sua idea di welfare risponde: «Lo Stato oggi è la versione secolarizzata della religione. La gente si aspetta che si sostituisca a Dio e fornisca una risposta a ogni loro esigenza».
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sabato 28 giugno 2014
Salario minimo e tariffe professionali
pubblicato su Il Legno Storto del 30 gennaio 2012
di Vito Foschi
Con il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti, ventilato
come capace di impennare il PIL a due cifre, viene abolita la possibilità degli
Ordini professionali di definire delle tariffe anche non vincolanti. Dubitiamo fortemente
che l’apertura di qualche farmacia in più e qualche incarico a tariffa
ribassata per i liberi professionisti possa far aumentare il PIL in modo
significativo. Tornando al discorso principale, l’intervento più importante
sulle tariffe professionale fu l’abolizione dei minimi in seguito al famoso
decreto conosciuto come “le lenzuolate” di Bersani e anche allora venne
presentato come fautore di crescita economica e di vantaggi per i consumatori.
Sussiste, tuttavia, il sospetto che il vero motivo del decreto non fosse la
volontà liberalizzatrice, ma piuttosto un mero calcolo elettorale, colpendo
quelli che nell’immaginario finto-proletario sono dei privilegiati: l’invidia
sociale usata come strumento di governo nel più classico divide et impera.
Oggi, con l’inflazione di laureati nelle varie discipline è
più facile trovare un avvocato o un ingegnere rispetto a un idraulico o a un operaio
specializzato e visto che la legge della domanda e della offerta è inesorabile
come la legge di gravità, i guadagni sono di conseguenza. Al di là di queste
considerazioni sull’invida come motore più potente della razionalità, come
liberali non possiamo non essere favorevoli all’abolizione dei minimi, ma aggiungendoci
l’abolizione degli ordini tout court facendo nostre le considerazioni di Milton
Friedman esposte nel suo bel libro Capitalismo e Libertà.
Per amore di precisione confesso di essere iscritto ad un ordine
e quindi di essere un po’ in conflitto di interressi con me stesso, però questo
mi permette di offrire una riflessione diversa. Sono un ingegnere informatico e
l’informatica è materia non regolamentata quindi l’iscrizione all’ordine è del
tutto inutile ed anzi è una tassa in più da pagare ogni anno. Risulterebbe più
utile pagare, per esempio, un’associazione che organizzasse un paio di cene di
lavoro all’anno. Diciamo ciò, perché a volte sembra che gli ordini siano tutti
uguali, o comunque degli organismi dotati di chissà quali poteri e privilegi da
dispensare agli iscritti. Se pagare per non avere nulla in cambio si possa
definire un privilegio…
Vorrei però affrontare il problema delle tariffe in termini
più generali astraendo dalle contingenze storiche per poter fare un
ragionamento più razionale possibile. Le tariffe rappresentano sicuramente un
ostacolo alla concorrenza rappresentando un’ingiustizia per chi pur di lavorare,
sarebbe disposto a guadagnare di meno e un danno per i consumatori. Oltre a ciò,
con i prezzi più bassi le persone che hanno la possibilità ad accedere ai
servizi professionali sarebbero in numero maggiore allargando il mercato. Proviamo,
però, ad affrontare il problema da un diverso punto di vista. Le tariffe non
sono altro che il guadagno del libero professionista, che essendo
sostanzialmente un lavoratore intellettuale non impiega né materie prime né
impianti. In qualche modo eccetto il vincolo di dipendenza, che attualmente,
visto le condizioni di mercato, è per assurdo più vincolante per il libero
professionista che per il dipendente, potrebbe essere paragonato ad un lavoratore
qualsiasi. Le tariffe, in breve, possono essere paragonate ai salari di tutti
gli altri lavoratori. E qui nasce un assurdo. Se le tariffe sono una sorta di
salario, se aboliamo le tariffe minime non dovremmo abolire il salario minimo?
Tanto più, che attualmente un libero professionista, ha ben poco potere
contrattuale nei confronti del cliente e probabilmente il dipendente si trova
in una situazione di forza maggiore. Capovolgendo il discorso, se un dipendente
deve guadagnare un giusto compenso e questo viene deciso dalla contrattazione
collettiva perché ciò non deve sussistere per i liberi professionisti? Tra l’altro
i lavoratori hanno alle loro spalle sindacati e partiti, mentre i liberi
professionisti solo la loro forza professionale e nulla più: se lavorano
possono mangiare, altrimenti finiscono sotto i ponti. Considerato che i
professionisti non hanno né cassa integrazione, né disoccupazione, né rimborsi
per il lavoro non svolto a causa di malattie, non mi sembrano che siano così
privilegiati; anzi, molti giovani professionisti cambierebbero la loro
condizioni con quella di un qualsiasi dipendente. Non si capisce con quale
criterio logico si chieda l’abolizione delle tariffe minime a fronte di una
sostanziale imposizione di salari minimi; se tariffe e salari non sono altro
che il compenso del lavoro di una persona, non si capisce perché questa pesante
discriminazione. Da un certo punto di vista, ciò potrebbe dare ragioni a molti
professionisti che richiedono maggiori tutele e il ripristino delle tariffe
minime, che non farebbero altro che renderli simili a tutti gli altri
lavoratori. Simili, ma non uguali perché rimarrebbe sul loro groppone sempre il
rischio di impresa. Chiaramente questa è un’impostazione sindacale, forse anche
scusabile da parte dei professionisti, che oltre a vedersi decurtati i guadagni
dall’eccesso di offerta si vedono anche bistrattati dalle leggi e volendo
essere ripetitivi solo per invidia sociale. Quindi ripristiniamo i minimi
tariffari? Certamente no, la soluzione è ben altra ed è quella liberale:
abolire sia i minimi salariali, sia i minimi tariffari. In una società libera,
i monopoli legali e gli ostacoli legali alle libere scelte delle persone
dovrebbero essere aboliti. Sfugge alla comprensione il motivo per cui è giusto
che un libero professionista possa lavorare per una cifra inferiore a quella
delle tariffe minime, mentre un dipendente non possa accettare una stipendio
inferiore al minimo. Qual è la differenza? Da un lato si predica la concorrenza
per i professionisti e poi si pongono ostacoli per i dipendenti. Consideriamo
anche che, fortunatamente, la fantasia umana non ha confini e tariffe minime e
minimi salariali vengono aggirati. Chi propone l’abolizione delle tariffe
minime dovrebbe di converso chiedere l’abolizione dei salari minimi. Se è
ingiusta una cosa è ingiusta l’altra. Se le tariffe minime sono una barriera
all’entrata per i giovani professionisti, i salari minimi sono una barriera all’entrata
per i giovani lavoratori, con la sostanziale differenza che le tutele per i
dipendenti non hanno confronto con le inesistenti tutele dei liberi professionisti.
Curiosamente, chi continuamente mena per aria la costituzione, di fatto, si
prodiga per la nascita di pesanti
discriminazioni, creando robuste gabbie fra chi lavora, da cui ognuno guarda in
cagnesco il vicino racchiuso in diversa gabbia. La legge è uguale per tutti o
solo per chi ci è simpatico?
sabato 14 giugno 2014
Uno dei tanti esempi degli sprechi del comune di Torino
di Vito Foschi (pubblicato sul blog Elzevirista nel 2012)
Spulciando fra le varie delibere delle circoscrizioni torinesi ci siamo imbattuti in quella della circoscrizione 9 che nel dicembre del 2010 organizzava una festa di Natale con ingresso gratuito per 1000 persone. Ci si chiede quale era la finalità sociale di tale iniziativa. Non stiamo parlando di una festa per gli anziani soli o per i poveri, ma una festa a cui potevano accedere tutti, voi o io compresi. Mi si vuole spiegare a che scopo tutto ciò? Quei soldi non era meglio utilizzarli per pagare un bel pranzo e un bagno caldo ai tanti barboni della città? O spenderli per l’assistenza agli anziani non autosufficienti? L’iniziativa sa tanto del motto borbonico: festa, farina e forca. Volete sapere quanto è costato tutto ciò? 14000 euro, come da delibera Doc. n.95/2010 - 2010 07580/2010 approvata il 1 dicembre 2010. Un’ultima chicca: i 14000 euro erano a copertura parziale. Peccato che il contributo richiesto era di 15.816,00, quindi la copertura cosiddetta parziale arrivava a ben l’88,5%. Non male per essere parziale. Inoltre la circoscrizione ha messo a disposizione anche tavoli, sedie e il palco per il complesso musicale. C’è da dubitare quando un’amministrazione pubblica si lamenta per mancanza di fondi.
venerdì 30 maggio 2014
Due commenti al "Piccolo Manuale della Libertà"
"Una chicca. Una serie di brevi capitoli trattano i tanti temi attorno alla libertà in modo rapido e piacevole. Finito un capitolo si passa al successivo con la curiosità di vedere cosa c’azzeccano con la libertà Bud Spencer e Terence Hill, alcuni vecchi serial televisivi , Pippi Calzelunghe. Anche gli ambiti più classici per analizzare il tema della libertà quali il cristianesimo, la “legge” e l’etica sociale, l’ecologia (le risorse della terra) sono affrontati con brevi capitoletti pieni di osservazioni precise e efficaci. Credo veramente che nessuno abbia il diritto di privarsi di un paio d’ore di questa stimolante lettura"
Ettore Malpezzi (autore di Padri di una Patria)
"L'aperilibro del Club di Creativi non è mai banale e non è mai pesante ... ma poter pensare che si potesse parlare di politica, società e civiltà passando dai film di Bud Spencer a quello di Don Camillo e Peppone con strette relazioni con Bibbia e Vangelo fino ai cartoni animati mi sembra tuttora incredibile ... per cui un immenso applauso a Michele Fossati che nel suo giorno del compleanno ci ha fatto conoscere Vito Foschi l'autore di cotanta opera che si può scaricare da internet"
Marco Barbagelata proprietario dell'Ovocenter di Novi Ligure
Scarica da qui
Ettore Malpezzi (autore di Padri di una Patria)
"L'aperilibro del Club di Creativi non è mai banale e non è mai pesante ... ma poter pensare che si potesse parlare di politica, società e civiltà passando dai film di Bud Spencer a quello di Don Camillo e Peppone con strette relazioni con Bibbia e Vangelo fino ai cartoni animati mi sembra tuttora incredibile ... per cui un immenso applauso a Michele Fossati che nel suo giorno del compleanno ci ha fatto conoscere Vito Foschi l'autore di cotanta opera che si può scaricare da internet"
Marco Barbagelata proprietario dell'Ovocenter di Novi Ligure
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giovedì 22 maggio 2014
Gli illusionisti della politica
Pubblicato su “Il legno Storto” del 7 settembre 2011
di Vito Foschi
Da un po’ di tempo si fa un gran parlare dei costi della
politica e ci permettiamo una considerazione in qualche modo tecnica e una
provocazione. Molte delle proposte si concentrano sulla riduzione di qualche
voce di costo, con qualche aneddoto poco edificante come la spigola offerta al prezzo
di una portata da mensa aziendale. Lo svantaggio di tutte queste iniziative è
che semplicemente non risolvono il problema. Sono un utile diversivo, un modo
per dare un contentino ai cittadini, ma senza intaccare il grosso della spesa.
Questo avviene per un semplice e banale motivo che si spiega con un esempio:
ridurre del 10% una voce di costo pari al 10% del totale del bilancio,
significa ridurre i costi dell’1%. Il 10% del 10% è proprio l’1%. Cambiando le
percentuali il risultato non cambia di molto. Anche riducendo del 10% il 50%
del bilancio totale, si riduce la spesa totale del solo 5%. Altro esempio:
ridurre del 50%, evidentemente una percentuale importante, una voce di spesa pari
al 10% totale, significa sempre ridurre la spesa totale del 5%. Capite bene,
che queste percentuali abilmente comunicate, possono far credere che ci siano
dei tagli drastici. Immaginate la riduzione del 50% dei costi di ristorazione.
Sembra tanto, ma di fatto la riduzione complessiva è ben modesta. L’unico modo
per ridurre i costi della politica, a parte il tagliare un po’ di teste come
starà pensando qualche lettore, è la drastica riduzione del numero dei politici,
dai parlamentari fino più giù, ai consiglieri di circoscrizione. Immagino per i
parlamentari una riduzione di almeno il 50%, con una vera riduzione dei costi e con altri
benefici effetti collaterali. Per amore di precisione la riduzione dei
parlamentari dai 945 a
circa 480 non comporterebbe un’automatica riduzione del 50% del costo totale,
ma di meno, per ovvie spese generali che non diminuiranno e perché molti
impiegati ormai diventati inutili non saranno messi subito sul lastrico. Oltre
a questo taglio, si dovrebbe procedere comunque all’eliminazione di quelle voci
odiose che fanno giustamente incavolare i cittadini. In tutta onestà, alcune
cose non si riescono proprio a capire. Per esempio, è facile capire le
agevolazioni per i trasporti perché si spera che ogni tanto l’onorevole o il
senatore si sposti da Roma e torni nel collegio di elezione per mantenere il
tanto decantato contatto con il territorio. Altre cose non si capiscono, come
per esempio l’avere a disposizione un ristorante. A che serve? Non ci sono
ristoranti o tavole calde nei pressi di Camera e Senato?
Oltre alla riduzione dei costi, ci sarebbe un ulteriore e
non trascurabile vantaggio che molti non considerano. Con il dimezzamento del
numero dei parlamentari si può sperare in una maggiore efficienza dei processi
decisionali con la riduzione del problema dei cosiddetti peones, ovvero dei
parlamentari sconosciuti o quasi senza un preciso ruolo che vanno a costituire
una sorta di parco buoi non sempre docile ai voleri dei maggiorenti dei partiti.
La gran parte del lavoro si fa in commissione, e chi non ne fa parte,
sostanzialmente, si trova tagliato fuori dai giochi. Se consideriamo gli
avvenimenti politici dell’ultimo anno con la migrazione di tanti parlamentari da
un gruppo ad un altro, potete ben capire che riducendosi il numero, questi
episodi diventano meno consistenti. Qualunque cosa si possa pensare delle
“migrazioni parlamentari”, bisogna ammettere che si tratta di un modo come un
altro per cercare visibilità da parte dei peones. Prima del 14 dicembre chi
conosceva il roboante On. Scilipoti? Se eliminiamo 500 parlamentari quante
migrazioni ci possono essere? Ma non solo. Il problema è molto più semplice.
Meno persone ci sono, più è facile coinvolgerle nei processi decisionali riducendo
il numero degli esclusi, che a volte si vendicano trasformandosi in “franchi
tiratori”.
Riassumendo le varie considerazioni, la riduzione dei
parlamentari è l’unico modo per ridurre in maniera sensibile i costi del
Parlamento con un suo conseguente migliore funzionamento.
Chiudiamo con una provocazione. È proprio opportuno ridurre
le prebende dei parlamentari? Preciso che non parlo dei privilegi smaccatamente
ingiusti, ma del semplice stipendio. Normalmente le aziende private si disputano
i manager migliori o presunti tali, a suon di aumenti di stipendi o bonus vari,
senza arrivare all’esempio dei calciatori dove i campioni vanno letteralmente
all’asta. Diminuire lo stipendio dei politici può attrarre i migliori? Certo
non è un lavoro come un altro, ma razionalmente si può pensare di fare il
parlamentare per 1500-2000 euro al mese? Chi si trasferirebbe a Roma per quella
cifra e per pochi anni? Ci sono disoccupati che preferiscono rimanere nel loro
stato pur di non cambiare città. Certo, bisogna riconoscere che nonostante gli
attuali forti incentivi non sempre sono stati i migliori ad essere selezionati,
anzi il panorama odierno sembra mostrare che la selezione in politica funzioni
al contrario: non viene premiato il merito, ma il suo contrario. Stando così le
cose, domando, una riduzione degli stipendi potrà migliorare la situazione o
peggiorarla? E la carriera politica potrà non attrarre i senza scrupoli
interessanti più al potere di intermediazione della stato e non alla buona
amministrazione?
lunedì 12 maggio 2014
Tornare ad occuparsi della realtà: articolo 18 e partite IVA fittizie
Un mio vecchio articolo pubblicato su Lo Spiffero del 11 Maggio 2012 (http://www.lospiffero.com/ballatoio_stampa_432.html)
Quando la
scorsa estate si ventilava il superamento dell’articolo 18, avevamo scritto di
come i sindacati pensano ed agiscono come se vivessero in un mondo parallelo che
in nulla coincide con la realtà. Ora abbiamo la cosidetta riforma del ministro
Fornero che si pone nella stessa linea di irrealtà. A parte il pasticcio sul
famigerato articolo 18 che francamente troviamo assurdo, la legge sulle partite
IVA fittizie è veramente qualcosa di incredibile: può essere pensata solo da
chi non conosce il mondo del lavoro.
Bisogna
precisare, innanzitutto, che l’articolo 18 si applica alle imprese con più di
15 dipendenti e già questo non si capisce: il lavoratore della piccola impresa è
un cittadino di serie b? In Italia patria delle piccole imprese, il famoso articolo
si applica a ben poche persone e nella pratica ancora meno di quanto dicono le
statistiche. Le grandi aziende in realtà non hanno problemi ad attuare
licenziamenti di massa. Vi dice niente la parola esodati? Rimanendo nella
cronaca locale, Intesa San Paolo ha mandato via un bel pò di dipendenti senza
tanti problemi. Lo stesso De Benedetti ha dichiarato di non aver avuto problemi
a licenziare. Facendo due conti, l’articolo 18 si applica alle medie imprese
non sufficientemente grandi da aver un forte potere contrattuale. Tutto questo
baillame per una percentuale minima dei lavoratori? E poi perchè le medie
imprese debbono avere una legge diversa dalle altre? Sarà questo uno dei motivi
che impediscono alle imprese di diventari grandi? Ciò può spiegare perchè alle
grandi imprese non interessa molto dell’articolo 18; spiega perchè sia stato
possibile un accordo fra Confindustria e i sindacati per sterilizzare l’articolo
8 della finanziaria del precedente governo che in qualche modo superava il
blocco dei licenziamenti. In fondo, alle grandi imprese, fa comodo che alle
medie venga impedito di crescere, in modo da non avere concorrenti.
Tornando
alle partite IVA fittizie, trovandomi in quelle condizioni, un brivido mi ha
percorso la schiena. Fortunatamente fra i tanti errori che si commettono nella
vita mi ritrovo iscritto ad un ordine e la riforma non riguarda i professionisti
e ho tirato un sospiro di sollievo. Qualcuno si chiederà se sono impazzito a
preferire la precarietà alla stabilità. Purtroppo solo chi non conosce la realtà
può pensare che una simile riforma possa portare alla stabilizzazione dei
precari. Nella realtà ci sono imprese senza dipendenti e con soli collaboratori
a partita IVA ed a progetto. Si può ragionevolmente pensare che una ditta possa
assumere decine di dipendenti in un botto? O che grosse aziende che
subappaltano il lavoro a microimprese abbiamo problemi a fare girare i
fornitori di sei mesi in sei mesi? Solo se vogliamo credere alle favole
possiamo pensare ciò. Tra l’altro, esistendo il subappalto del subappalto, è
sufficiente far roteare gli ultimi anelli della catena per rispettare
formalmente la legge e il collaboratore continuerà a svolgere lo stesso lavoro
per anni. Il cliente finale chiaramente non si accorge di nulla e vede solo che
la persona che desidera è sempre dove vuole lui. In più, in alcuni campi come
quello informatico effettivamente si lavora su progetti eccetto per la
manutenzione di applicativi esistenti. Fra i miei colleghi la paura è stata di
diventare ancora più precari: finora si poteva sperare in contratti annuali,
ora grazie alla Fornero non si può sperare oltre i sei mesi. Considerato che i
contributi sui contratti a progetto sono maggiori potrebbe sembrare un modo
surrettizio di trasformare le partite IVA in contratti a progetto per incrementare
le entrate contributive e tenere in sesto i bilanci dell’INPS.
Tra gli
effetti non desiderati, chi si trova ad iscritto ad un ordine, non sottostando
alle nuove norme capestro, potrebbe acquisire un vantaggio su tutti gli altri
lavoratori. Le aziende preferiranno un iscritto, che possono utilizzare senza
il rischio di doverlo assumerlo, rispetto ai non iscritti. È giusto e
desiderabile? Non è una distorsione del mercato? Con tutta sincerità al
prossimo colloquio lo farà pesare. Non mi sembra giusto anche se mi agevola.
Come liberale vorrei che gli Stati si
occuppassero di giustizia, esercito, polizia e in maniera limitata di opere
pubbliche, purtroppo, invece, politici, sindacalisti e affini si intromettono
pesantemente nelle nostre vite. Dato che ciò dembra inevitabile è lecito
pretendere che conoscano la realtà di ciò che si occupano? Conoscere per
deliberare diceva un famoso piemontese e non deliberare per conoscere.
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mercoledì 12 febbraio 2014
Piccolo Manuale della Libertà - Il mio primo libro
Con immenso piacere vi annuncio l'uscita del mio primo libero che si occupa di divulgare un po' di idee sulla libertà. Vi invito a comprare più copie così da pogerle regalare ad amici e parenti. Per ogni vopia venduta un euro andrà al Tea Party Italia. Eccovi il link:
http://leolibri.it/content/piccolo-manuale-della-libert%C3%A0
E una breve presentazione:
Questo libro è un esempio di divulgazione che riesce a tenere insieme approfondimento, rigore, semplicità e concretezza. L’autore non si tira indietro, da una parte, rispetto a tematiche economiche ed etiche complesse, usando dall’altra sempre esempi quotidiani, concreti, comprensibili a tutti, in molti casi anche estremamente divertenti e leggeri.Il primo impatto del lettore con le tematiche della libertà economica, del mercato, della concorrenza, dell’importanza dei diritti di proprietà, è quanto di più “soft” e meno traumatico si possa immaginare: l’autore fa iniziare infatti questo viaggio con un excursus tra “favole moderne”: film per famiglie, serie tv di culto, addirittura cartoni animati. Come spiega lui stesso: “Non c’è nessuna forma di snobismo alla rovescia, ma solo un’osservazione pratica. Per quanto si possa fare alta teoria, liberalismo e libertarismo sono dottrine dettate dal buon senso. Alla fine trovano la loro vera ragion d’essere nella realtà. E la realtà la capiscono tutti, come un film di Bud Spencer e Terence Hill.”
http://leolibri.it/content/piccolo-manuale-della-libert%C3%A0
E una breve presentazione:
Questo libro è un esempio di divulgazione che riesce a tenere insieme approfondimento, rigore, semplicità e concretezza. L’autore non si tira indietro, da una parte, rispetto a tematiche economiche ed etiche complesse, usando dall’altra sempre esempi quotidiani, concreti, comprensibili a tutti, in molti casi anche estremamente divertenti e leggeri.Il primo impatto del lettore con le tematiche della libertà economica, del mercato, della concorrenza, dell’importanza dei diritti di proprietà, è quanto di più “soft” e meno traumatico si possa immaginare: l’autore fa iniziare infatti questo viaggio con un excursus tra “favole moderne”: film per famiglie, serie tv di culto, addirittura cartoni animati. Come spiega lui stesso: “Non c’è nessuna forma di snobismo alla rovescia, ma solo un’osservazione pratica. Per quanto si possa fare alta teoria, liberalismo e libertarismo sono dottrine dettate dal buon senso. Alla fine trovano la loro vera ragion d’essere nella realtà. E la realtà la capiscono tutti, come un film di Bud Spencer e Terence Hill.”
domenica 9 febbraio 2014
Il vizio dello sperpero
(pubblicato sul Legno Storto del 10
novembre 2011 e su Lo Spiffero)
di Vito Foschi
In questi giorni convulsi con un governo dimissionario e lo
spread alle stelle si riaffaccia prepotente l’ipotesi di una patrimoniale per
poter sanare l’annoso problema del debito pubblico. Decisione che si vuole
affidare ad un qualche governo d’emergenza tecnico o istituzionale per
svincolare i partiti che non si riterrebbero responsabili della rapina degli
italiani. Sinceramente riesce difficile capire il vantaggio di una misura
tampone come la patrimoniale, abbiamo avuto quella del governo Amato, ma non ha
portato molto fortuna. Sono passati meno di venti anni, ma il problema non è
cambiato. Il debito pubblico non è la causa dei problemi, ma la conseguenza più
evidente del vero problema italiano: la spesa pubblica. E lì che si annidano i
problemi dell’Italia sia in termini quantitativi che qualitativi.
Voi paghereste i debiti di chi ha il vizio del gioco?
Sicuramente no o meglio sareste disposti a farlo solo dopo che vi foste
assicurati che il giocatore abbia perso il vizio. È evidente che continuando a
giocare il debito si riformerebbe in brevissimo tempo, anzi più velocemente di
prima, tanto c’è qualcuno che paga. Oltre il danno la beffa. Per il giocatore
incallito il pagamento dei debiti non sarebbe altro che un ulteriore incentivo
a sperperare. Trovereste il tutto decisamente ingiusto. Ebbene, la situazione
dello stato italiano è esattamente come quella della persona dominata dal vizio
del gioco. La patrimoniale abbatterebbe il debito, dando un po’ di respiro ai
conti dello stato, ma in breve tempo tornerebbero alla situazione attuale con
il debito alle stelle. Il problema da cui nasce il debito, come detto, è la
spesa pubblica. L’abbattimento del debito sarebbe un incentivo ad aumentarla e
non a diminuirla. Non dimentichiamo che l’altra faccia della spesa pubblica è
il prelievo fiscale. Visto che i soldi non crescono sugli alberi, come sanno
anche i bambini che hanno letto Pinocchio, le spese dello stato non sono altro
che i soldi prelevati coattivamente dalle tasche dei cittadini. Questo è il
primo danno di una spesa pubblica fuori controllo, la compressione della
capacità di spesa e risparmio del cittadino a favore dell’entità statale.
Quello che dovrebbe fare un qualsiasi governo in carica è
abbattere la spesa pubblica, prima di pensare alla patrimoniale. L’altro danno
di una spesa pubblica fuori controllo è quello che abbiamo indicato come aspetto
qualitativo. La spesa pubblica oltre a sottrarre ingenti risorse dai redditi
dei cittadini, distorce le scelte degli operatori economici causando un’allocazione
non ottimale delle risorse economiche. Detto in altri termini, se un
imprenditore sa che potrà guadagnare un sacco di soldi vincendo un appalto
pubblico, si occuperà di quello e non di creare un impresa che stia sul
mercato. E non nascondendoci dietro ad un dito, quella spesa genera corruzione
e malaffare. Come speriamo di competere sui mercati internazionali, se i nostri
imprenditori sono più impegnati a intercettare qualche rigagnolo di soldi
pubblici, che a lavorare per rendere produttiva l’impresa? Ma non solo la
corruzione. Lo stato per spendere i soldi devo crearsi una qualche
giustificazione e quindi deve creare una legislazione apposita. Più leggi, più
si ingessa il mercato, più si complica la vita del cittadino. Si creano uffici
inutili, con personale inutile a cui bisogna inventare qualcosa da fare e così
si crea un qualche modulo da far compilare al suddito-cittadino. Alla fine il
cittadino paga per essere vessato dallo stato. E da lì che bisogna partire per
abbattere la mostruosità del debito pubblico. Riducendo la spesa pubblica, si
potrà ripagare il debito accumulato e in più si darà slancio all’economia
perché si semplificherà la vita di imprese e cittadini. Gli imprenditori
dovranno tornare a occuparsi delle loro imprese, invece che di preoccuparsi di
come intercettare denari pubblici. A quel punto si potrebbe anche pensare a
ridurre finalmente le tasse che sarebbe il miglior modo di aiutare i cittadini.
Qualcuno potrebbe pensare ad un discorso troppo teorico, ma
si possono tranquillamente indicare alcuni provvedimenti concreti quali
l’abolizione di province e circoscrizioni, riduzione del numero dei
parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali, abolizione di qualsiasi
forma di incentivo sia fiscale che finanziario alle imprese compresi gli
incentivi alle rinnovabili, affidamento a privati dei servizi pubblici locali,
liberalizzazione di ferrovie e trasporto locale, abolizione degli ordini
professionali e privatizzazione delle relative casse di previdenza,
privatizzazione di INPS ed INAIL e così via. Senza parlare dei tanti enti
inutili. È sufficiente spulciare l’elenco di nomine pubbliche di regioni,
province e dei comuni sufficientemente grandi per trovare di tutto. Dall’ente
per la tutela di qualche specialità gastronomica, all’associazione per lo
sviluppo tecnologico il cui unico compito è scrivere un paio di relazione
all’anno, a quella per la tutela di non si sa bene che cosa. Tutti organismi
che hanno una sede, una segreteria e degli amministratori retribuiti. Organismi
che non si sa bene cosa facciamo, ma senza giri di parole, servono sicuramente ad
accontentare il politico che non ce l’ha fatta o il supporter che ha portato
voti.
sabato 1 febbraio 2014
Il massacro di Katyń
Pubblicato su Archeologia &
Cultura del 25 settembre 2011
di Vito Foschi
La località di Katyń è attualmente nota al grande pubblico
per l’incidente aereo in cui hanno perso la vita il presidente della Polonia
insieme a ministri e parlamentari, ma pochi sanno il motivo per cui il cospicuo
gruppo di politici si recava in tale
luogo.
Katyń è una foresta nei pressi di Smolensk, in Russia, scenario
di un cruento fatto di sangue: qui all’inizio del 1940 furono uccisi e
seppelliti circa 22000 militari polacchi, prigionieri sovietici dopo la
spartizione della Polonia fra Germania nazista e Unione Sovietica. La Polonia, fu il classico
vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. I sovietici con il massacro speravano
di eliminare in un colpo solo la classe dirigente polacca, la gran parte erano
ufficiali della riserva che nella vita erano professionisti, dirigenti,
intellettuali, attuando una sorta di pulizia di classe. Ma al di là della
crudeltà del massacro, si istituì una squadra di massacratori professionisti
addestrata per uccidere le persone con un singolo colpo di pistola in una
precisa zona della nuca, quello da raccontare è il velo di oblio che calò sulla
tragedia in seguito al ritrovamento delle fosse comuni.
Nel 1941
in seguito all’attacco tedesco all’Unione Sovietica,
polacchi e russi non erano più nemici, ma alleati e in questo nuovo quadro il generale
Anders cercò di informarsi dei suoi commilitoni prigionieri in Russia, anche
nell’ottica di formare un esercito polacco da affiancare agli alleati. Le
risposte di Mosca furono evasive, non potendo ammettere il massacro. Nel 1943, i
tedeschi, in seguito all’invasione dell’Urss scoprirono le fossi comuni; fino ad
allora non si conosceva il destino dei militari polacchi prigionieri in Russia.
Da quel momento si tentò di insabbiare tutto.
I tedeschi cercarono di formare una commissione d’inchiesta
internazionale, ma gli alleati per non irritare l’alleato sovietico si
opposero. Allora i nazisti formarono una commissione come poterono, coinvolgendo
la Croce Rossa
ed appurarono le colpe dell’Urss. Gli alleati continuarono a negare l’evidenza.
Al di là del fatto contingente di
non irritare un alleato, la faccenda si colorì di sfumature ideologiche. Per
motivare l’opinione pubblica si era dipinto il nazismo come il male assoluto;
cosa sarebbe successo se si fosse scoperto che l’alleato sovietico agiva come
né più né meno dei nazisti?
Indubbiamente era necessario mantenere l’alleanza per
sconfiggere i tedeschi, ma come era necessaria l’Unione Sovietica per gli Alleati,
altrettanto importante erano per i sovietici gli Alleati in particolare per la
fornitura di viveri e di armi. Forse un qualche spazio di manovra poteva
esserci, però gli Alleati preferirono
tacere.
Il comportamento di Churchill fu dettato da semplice
pragmatismo, anche se dopo la guerra non essendo più primo ministro ed iniziata
la guerra fredda poteva sicuramente in una delle sue tante conferenze parlarne.
Forse il silenzio fu dettato dal voler nascondere un episodio di cui
sicuramente non era fiero, mentre merita particolare attenzione il
comportamento di Roosevelt.
Il presidente statunitense ebbe un atteggiamento di
accondiscendenza verso Stalin, perché immaginava l’Unione Sovietica avviata
verso un’evoluzione democratica in ciò influenzato da molti suoi collaboratori
di area liberal che nutrivano simpatia per il comunismo. Inoltre, immaginava un
dopoguerra bipolare in cui l’egemonia sarebbe stata spartita fra Stati Uniti e
Unione Sovietica con il Regno Unito relegato fra i le nazioni di second’ordine.
Il massacro di Katyń in questa ottica diventava un incidente di percorso che
non influiva sull’apparente traiettoria democratica intrapresa dalla Russia,
che nasceva da una rivoluzione come gli USA al contrario degli altri stati
europei. Questo abbaglio ideologico finì per convincere gli statunitensi a
tacere sul massacro.
Addirittura, ci fu un tentativo da parte dei sovietici, nel
processo di Norimberga, di addossarne le colpe ai nazisti, ma di fronte
all’evidenza furono costretti a ritirare le accuse. Negli Stati Uniti ci fu un
inchiesta del Congresso negli anni ’50, ma il tutto si arenò per motivi di
politica internazionale, quando si doveva firmare l’armistizio della guerra di
Corea e non era il caso di inasprire gli animi. L’Unione Sovietica ha
continuato a negare l’evidenza anche in seguito fino alla svolta di pochi anni
fa con Gorbaciov e Eltsin che hanno ammesso la responsabilità sovietiche a
distanza di 50 anni.
C’è anche un risvolto italiano, a dir poco disdicevole della
faccenda. Della commissione internazionale istituita dai nazisti faceva parte
un italiano, il professor
Vincenzo Palmieri, direttore dell’istituto di medicina legale dell'Università
di Napoli, che non poté che appurare le evidenti responsabilità
sovietiche. Nell’immediato dopoguerra fu perseguitato dal Partito Comunista
Italiano che agiva, consentitemi l’espressione di sapore giuridico, in nome e
per conto dell’Unione Sovietica. Il professore Palmieri veniva contestato a
lezione, accusato di essere un nazista e addirittura alcuni colleghi giunsero a
chiederne l’allontanamento.
sabato 18 gennaio 2014
L’inutilità di eolico e fotovoltaico
pubblicato sul Il Legno Storto, il 15 febbraio 2011
di Vito Foschi
di Vito Foschi
In questi ultimi anni si sono create grandi aspettative
sulle energie rinnovabili, capaci secondo la vulgata corrente, di produrre
energia senza gli svantaggi delle altre fonti. Ma è proprio vero? Ne dubitiamo.
Esaminiamo l’eolico e il fotovoltaico.
Le summenzionate energie rinnovabili presentano due gravi
problemi. Il primo è che forniscono energia in maniera intermittente e ciò non
è un bene. In una rete elettrica potenza erogata e potenza consumata debbono
essere in equilibrio, tecnicamente bilanciamento. L’energia elettrica non può
essere conservata, ed in ogni momento la quantità prodotta deve essere pari a
quella consumata. Se c’è una fonte intermittente, il risultato è che salta
tutto come il famoso black out di qualche anno fa. Per farla ancora più
semplice vi faccio un esempio casalingo. In casa abbiamo un contatore che ci
eroga una potenza di 3kW. Se accendiamo forno elettrico, lavatrice e lavastoviglie
“salta”. Non c'è più uguaglianza fra carico e potenza erogata. La stessa cosa
succede con l’eolico e il solare. Immettono in rete in maniera discontinua con
picchi in più e in meno rischiando di far saltare tutto. Ci sono dei margini di
utilizzo. Si stima che in una rete fra il 20 e il 30% può essere potenza
intermittente. Per sfruttare appieno questa possibilità in ogni caso è
necessario investire nella rete. Già il kilowattore eolico e solare è costoso, se
aggiungiamo anche gli investimenti nella rete, il costo aumenta ancora. Un
altro esempio di questo bilanciamento è dato dall’uso delle centrali
idroelettriche. La notte, i consumi sono ridotti perché la gente dorme e uffici
e fabbriche sono chiuse; le centrali termoelettriche non possono fermarsi e
lavorano a ciclo continuo e così producono energia in più, che viene usata per
azionare delle pompe per far risalire l’acqua negli invasi delle dighe delle
centrali idroelettriche che di notte sono ferme. In questo modo, il giorno,
quando la richiesta di energia è al massimo, le centrali idroelettriche possono
fornire il loro contributo avendo gli invasi pieni.
Il secondo problema, ancora più grande, è che l’energie
rinnovabili non permettono la chiusura di altre centrali. Mi spiego sempre con
un esempio casalingo. Immaginiamo di mettere i pannelli solari sul tetto di
casa per 3 kW. Il 15 agosto con il solleone avremo i nostri bei 3kW e forse
qualcosa in più. Il 15 dicembre nevica ed abbiamo zero energia. Come facciamo?
Abbiamo sempre bisogno di un generatore tradizionale di 3kW per poter
alimentare la nostra casa. Spostate questo ragionamento a livello nazionale e
capite che a fronte di tanti pannelli solari e di tante pale eoliche non può
essere chiusa neanche una centrale tradizionale. Certamente un po’ di energia
rinnovabile la riusciremo ad utilizzare ma gli impianti tradizionali rimarranno
lì. La domanda è questa: a fronte di tanti costi e della non chiusura di altre centrali a cosa servono le fonti rinnovabili?
Tra l’altro, visivamente pale e pannelli sono brutti e
consumano territorio ed i terreni agricoli diminuiscono sempre più. Voi pensate
ad una centrale tradizionale che occupa un terreno grande quanto un’industria e
a quanti pannelli servono per arrivare alla stessa potenza erogata. Secondo una
stima, un parco solare occupa mille volte lo spazio di una centrale nucleare a
parità di energia prodotta. Tra l’altro c’è una grossa differenza fra potenza
installata e potenza erogata. Per una bella centrale termica le due grandezze
più o meno coincidono un po’ come i cavalli di una macchina. Compro una 100
cavalli e più o meno 100 cavalli mi trovo a secondo di manutenzioni e usura.
Per fotovoltaico ed eolico, visto che il sole non sempre c’è ed il vento pure esiste
una grossissima differenza fra potenza installata e potenza erogata. Sempre l’esempio
casalingo. I 3kW di pannelli sul tetto al 15 agosto sono “veri” al 15 dicembre
sotto un manto di neve sono zero.
Per l’eolico si aggiunge anche il problema della rumorosità.
L’impatto acustico diventa trascurabile ad un minimo di 300 metri per gli
impianti più piccoli fino ai mille (un chilometro!) di quelli più grandi.
Precisiamo che per impatto acustico
trascurabile si intende un rumore non distinguibile dal rumore di sottofondo.
All’interno di quelle distanze il rumore della pala è udibile e la sua intensità
varierà con la distanza raggiungendo alla base dell’impianto i circa 100 dB
paragonabili al rumore all’interno di una metropolitana.
Curiosamente chi si batte per non avere grattacieli in città
è ben contento di avere tanti mezzi grattacieli in campagna. Che in campagna
non ci sia impatto ambientale e non lo sapevamo?
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