In questo vecchio articolo de Lo Spiffero del 2011 vengo citato.
Sono i nipotini di Einaudi e Hayek e hanno in Ricossa il loro
indiscusso maestro. Sotto la Mole un gruppo di giovani e brillanti
studiosi professa (rinverdendola) la rivoluzione liberale: Stato minimo,
privatizzazioni, meno tasse, meritocrazia

Colti
e disillusi, brillanti ma per il momento in disparte, diffidenti verso
ogni forma organizzata di politica politicante. Nei mesi della crisi
globale, Torino riscopre grazie ad alcuni giovanissimi interpreti la
propria vocazione liberale. Sono i pronipoti di
Luigi Einaudi, ma il patrimonio genetico spazia da
Thomas Jefferson a
Milton Friedman, da
Friedrich von Hayek ai concittadini
Sergio Ricossa,
Bruno Leoni e
Enrico Colombatto. La loro bibbia è “La Rivolta di Atlante” di
Ayn Rand e come
John Galt rivendicano
il diritto - e persino il dovere - di vivere perseguendo i propri
interessi secondo quell’etica dell’«egoismo razionale» che assegna
all’individuo fine e valore in sé. Si riuniscono in gruppi di
discussione informali e poco strutturati, come il Tea Party - sulla
scorta del movimento nato e affermatosi negli Stati Uniti – oppure Ora
Liberale. Il motto è il medesimo per tutti: «Meno Stato, meno tasse, più
libertà».

Si
oppongono alla presenza sempre più invasiva dello Stato nella vita di
ogni singolo individuo, lo "Stato massimo" un Moloch, il Leviatano
hobbesiano che determina le regole e poi pretende di giocare la partita,
spesso anche senza avversari, come nel caso dei tanti regimi
monopolistici ancora esistenti, dai servizi pubblici alle sigarette.
«Quando lo Stato diventa imprenditore esercita una concorrenza sleale
nei confronti di chi imprenditore lo è davvero e rischia il proprio
capitale, non quello della collettività» spiega
Riccardo De Caria (nella foto a sinistra),
27 anni, alle spalle una laurea in giurisprudenza, un dottorato e un
master alla London Scholl, ricercatore all'Università subalpina.
Affamare la bestia in modo da dare libero sfogo agli ancestrali
animal spirits: meno Stato, più mercato, concorrenza, meritocrazia. «Il
pubblico ha usurpato la comunità di ogni prerogativa: uccidendo le
vecchie società di mutuo soccorso e tutti quei modelli associazionistici
che si erano affermati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. A
fronte di una tassazione sproporzionata offre dei servizi limitati e
spesso inefficienti». A parlare è
Domenico Monea,
studente di medicina appena 22enne. E se gli si chiede quale possa
essere la sua idea di welfare risponde: «Lo Stato oggi è la versione
secolarizzata della religione. La gente si aspetta che si sostituisca a
Dio e fornisca una risposta a ogni loro esigenza».

Sono
in gran parte studenti o professionisti a inizio carriera, hanno un’età
che varia tra i 20 e i 30 anni e, a differenza dei loro genitori
(politici), non provano alcuna soggezione nei confronti delle ideologie
egemoni che, seppur sbrindellate, vanno per la maggiore tra i coetanei.
Comunicano attraverso internet, molti di loro hanno già vissuto
esperienze lavorative o formative all’estero, come
Giovanni Boggero, tra i fondatori, con De Caria, di Ora Liberale e collaboratore del giornale on line
Linkiesta,
attualmente a Berlino per un dottorato. Hanno vissuto esperienze più o
meno travagliate nelle giovanili di partito - dall’Italia dei Valori al
Pdl - tutti, però, ne sono usciti, persuasi del fatto che «oggi nessuno è
in grado di rappresentare queste istanze» spiega uno dei coordinatori
del Tea Party torinese,
Vito Foschi. Concordano nel
definire l’ultima Finanziaria, lontanissima da ciò che loro professano
(«abolizione degli ordini professionali, liberalizzazione dei servizi
pubblici, dismissione da parte dello Stato e degli enti locali di
società e imprese nelle quali detengono delle partecipazioni,
sburocratizzazione della pubblica amministrazione, taglio della spesa
pubblica, abbattimento delle tasse e misure per favorire la libera
imprenditoria») e non escludono un default imminente per l’Italia: «Il
che non è detto sia una cattiva notizia – riflette
Niccolò Viviani (foto in alto a destra), 22 anni, futuro ingegnere gestionale, considerato un
enfant prodige –. Anzi, potrebbe essere l’unica via per rifondare la nostra nazione su presupposti nuovi».
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