Pubblicato su Lo Spiffero il 7 settembre 2011
di Vito Foschi
Dopo l’ennesimo crollo della borsa con il differenziale fra
Bund e Btp tornato ai massimi, il governo continua a rimaneggiare la
finanziaria con interventi, i più vari, ma che ricordano il vecchio Visco. Fra
le varie proposte, che si sono succedute nei giorni scorsi, c’è stata quella di
rimettere mano alla riforma pensionistica al fine di anticiparne i tempi di
attuazione, in modo tale da ottenere prima i risparmi previsti. Si sarebbe
trattato, per esempio, di antipare ad oggi il requisito dei 65 anni per andare
in pensione eliminando la gradualità esistente nella legge attuale. È un’idea
con cui concordiamo e che avrebbe contribuito a rassicurare i mercati; porterebbe
a un sicuro risparmio per le casse dello Stato ripetuto nel tempo e non una
sola volta come il famigerato contributo di solidarietà o il condono. Proposta,
peraltro, di facile attuazione e che non sarebbe andata a colpire i cittadini
con nuove tasse e balzelli.
Al di là dei risparmi economici e della riduzione del debito
pubblico, sarebbe stata anche, se il lettore vorrà perdonarci il linguaggio un
po’ sindacale, anche una misura di equità. Infatti, chi oggi è relativamente
giovane, andrà in pensione nelle migliori delle ipotesi a 65 anni con una
pensione molto bassa, chi invece è avanti negli anni, può ancora andare in
pensione prima dei 65 e con una pensione relativamente alta. Un’accelerazione
della riforma ridurrebbe questa discriminazione basata sull’anno di nascita.
Attualmente i conti dell’INPS appaiono in positivo grazie all’apporto dei
precari, che versano dei contributi senza aver diritto a quasi nessuna
prestazione: i soldi della cosiddetta gestione separata, ovvero dei precari, vanno
a coprire i buchi delle altre gestioni.
Volendo fare i conti della serva, il sistema pensionistico
trasferisce ricchezza dai precari a chi ha un posto fisso. Se vi sembra giusto
questo.
Ricordiamo l’abolizione del cosiddetto scalone, ovvero
l’innalzamento immediato a 60 anni al 31 dicembre 2007 dell’età per andare in pensione
e costato secondo alcune stime 10 miliardi di euro. Fu attuato dal governo
Prodi a scapito dei precari che si videro innalzati i contributi da versare sui
contratti a progetto. Così i giovani si sono trovati una busta paga ridotta,
per poter fare andare in pensione, uno o due anni prima, i genitori dotati di
un super protetto contratto a tempo indeterminato.
La riforma pensionistica è sbilanciata nei confronti dei
giovani che sono costretti quasi da soli a ripianare il deficit INPS, mentre
chi è in pensione o è avanti negli anni è in qualche modo protetto, godendo
ancora dei passati vantaggi. Riformare le pensioni non solo genera risparmi, ma
è soprattutto un atto di giustizia nei confronti dei giovani.
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