Con immenso piacere vi annuncio l'uscita del mio primo libero che si occupa di divulgare un po' di idee sulla libertà. Vi invito a comprare più copie così da pogerle regalare ad amici e parenti. Per ogni vopia venduta un euro andrà al Tea Party Italia. Eccovi il link:
http://leolibri.it/content/piccolo-manuale-della-libert%C3%A0
E una breve presentazione:
Questo libro è un esempio di divulgazione che riesce a tenere insieme approfondimento, rigore, semplicità e concretezza. L’autore non si tira indietro, da una parte, rispetto a tematiche economiche ed etiche complesse, usando dall’altra sempre esempi quotidiani, concreti, comprensibili a tutti, in molti casi anche estremamente divertenti e leggeri.Il primo impatto del lettore con le tematiche della libertà economica, del mercato, della concorrenza, dell’importanza dei diritti di proprietà, è quanto di più “soft” e meno traumatico si possa immaginare: l’autore fa iniziare infatti questo viaggio con un excursus tra “favole moderne”: film per famiglie, serie tv di culto, addirittura cartoni animati. Come spiega lui stesso: “Non c’è nessuna forma di snobismo alla rovescia, ma solo un’osservazione pratica. Per quanto si possa fare alta teoria, liberalismo e libertarismo sono dottrine dettate dal buon senso. Alla fine trovano la loro vera ragion d’essere nella realtà. E la realtà la capiscono tutti, come un film di Bud Spencer e Terence Hill.”
mercoledì 12 febbraio 2014
domenica 9 febbraio 2014
Il vizio dello sperpero
(pubblicato sul Legno Storto del 10
novembre 2011 e su Lo Spiffero)
di Vito Foschi
In questi giorni convulsi con un governo dimissionario e lo
spread alle stelle si riaffaccia prepotente l’ipotesi di una patrimoniale per
poter sanare l’annoso problema del debito pubblico. Decisione che si vuole
affidare ad un qualche governo d’emergenza tecnico o istituzionale per
svincolare i partiti che non si riterrebbero responsabili della rapina degli
italiani. Sinceramente riesce difficile capire il vantaggio di una misura
tampone come la patrimoniale, abbiamo avuto quella del governo Amato, ma non ha
portato molto fortuna. Sono passati meno di venti anni, ma il problema non è
cambiato. Il debito pubblico non è la causa dei problemi, ma la conseguenza più
evidente del vero problema italiano: la spesa pubblica. E lì che si annidano i
problemi dell’Italia sia in termini quantitativi che qualitativi.
Voi paghereste i debiti di chi ha il vizio del gioco?
Sicuramente no o meglio sareste disposti a farlo solo dopo che vi foste
assicurati che il giocatore abbia perso il vizio. È evidente che continuando a
giocare il debito si riformerebbe in brevissimo tempo, anzi più velocemente di
prima, tanto c’è qualcuno che paga. Oltre il danno la beffa. Per il giocatore
incallito il pagamento dei debiti non sarebbe altro che un ulteriore incentivo
a sperperare. Trovereste il tutto decisamente ingiusto. Ebbene, la situazione
dello stato italiano è esattamente come quella della persona dominata dal vizio
del gioco. La patrimoniale abbatterebbe il debito, dando un po’ di respiro ai
conti dello stato, ma in breve tempo tornerebbero alla situazione attuale con
il debito alle stelle. Il problema da cui nasce il debito, come detto, è la
spesa pubblica. L’abbattimento del debito sarebbe un incentivo ad aumentarla e
non a diminuirla. Non dimentichiamo che l’altra faccia della spesa pubblica è
il prelievo fiscale. Visto che i soldi non crescono sugli alberi, come sanno
anche i bambini che hanno letto Pinocchio, le spese dello stato non sono altro
che i soldi prelevati coattivamente dalle tasche dei cittadini. Questo è il
primo danno di una spesa pubblica fuori controllo, la compressione della
capacità di spesa e risparmio del cittadino a favore dell’entità statale.
Quello che dovrebbe fare un qualsiasi governo in carica è
abbattere la spesa pubblica, prima di pensare alla patrimoniale. L’altro danno
di una spesa pubblica fuori controllo è quello che abbiamo indicato come aspetto
qualitativo. La spesa pubblica oltre a sottrarre ingenti risorse dai redditi
dei cittadini, distorce le scelte degli operatori economici causando un’allocazione
non ottimale delle risorse economiche. Detto in altri termini, se un
imprenditore sa che potrà guadagnare un sacco di soldi vincendo un appalto
pubblico, si occuperà di quello e non di creare un impresa che stia sul
mercato. E non nascondendoci dietro ad un dito, quella spesa genera corruzione
e malaffare. Come speriamo di competere sui mercati internazionali, se i nostri
imprenditori sono più impegnati a intercettare qualche rigagnolo di soldi
pubblici, che a lavorare per rendere produttiva l’impresa? Ma non solo la
corruzione. Lo stato per spendere i soldi devo crearsi una qualche
giustificazione e quindi deve creare una legislazione apposita. Più leggi, più
si ingessa il mercato, più si complica la vita del cittadino. Si creano uffici
inutili, con personale inutile a cui bisogna inventare qualcosa da fare e così
si crea un qualche modulo da far compilare al suddito-cittadino. Alla fine il
cittadino paga per essere vessato dallo stato. E da lì che bisogna partire per
abbattere la mostruosità del debito pubblico. Riducendo la spesa pubblica, si
potrà ripagare il debito accumulato e in più si darà slancio all’economia
perché si semplificherà la vita di imprese e cittadini. Gli imprenditori
dovranno tornare a occuparsi delle loro imprese, invece che di preoccuparsi di
come intercettare denari pubblici. A quel punto si potrebbe anche pensare a
ridurre finalmente le tasse che sarebbe il miglior modo di aiutare i cittadini.
Qualcuno potrebbe pensare ad un discorso troppo teorico, ma
si possono tranquillamente indicare alcuni provvedimenti concreti quali
l’abolizione di province e circoscrizioni, riduzione del numero dei
parlamentari e dei consiglieri regionali e comunali, abolizione di qualsiasi
forma di incentivo sia fiscale che finanziario alle imprese compresi gli
incentivi alle rinnovabili, affidamento a privati dei servizi pubblici locali,
liberalizzazione di ferrovie e trasporto locale, abolizione degli ordini
professionali e privatizzazione delle relative casse di previdenza,
privatizzazione di INPS ed INAIL e così via. Senza parlare dei tanti enti
inutili. È sufficiente spulciare l’elenco di nomine pubbliche di regioni,
province e dei comuni sufficientemente grandi per trovare di tutto. Dall’ente
per la tutela di qualche specialità gastronomica, all’associazione per lo
sviluppo tecnologico il cui unico compito è scrivere un paio di relazione
all’anno, a quella per la tutela di non si sa bene che cosa. Tutti organismi
che hanno una sede, una segreteria e degli amministratori retribuiti. Organismi
che non si sa bene cosa facciamo, ma senza giri di parole, servono sicuramente ad
accontentare il politico che non ce l’ha fatta o il supporter che ha portato
voti.
sabato 1 febbraio 2014
Il massacro di Katyń
Pubblicato su Archeologia &
Cultura del 25 settembre 2011
di Vito Foschi
La località di Katyń è attualmente nota al grande pubblico
per l’incidente aereo in cui hanno perso la vita il presidente della Polonia
insieme a ministri e parlamentari, ma pochi sanno il motivo per cui il cospicuo
gruppo di politici si recava in tale
luogo.
Katyń è una foresta nei pressi di Smolensk, in Russia, scenario
di un cruento fatto di sangue: qui all’inizio del 1940 furono uccisi e
seppelliti circa 22000 militari polacchi, prigionieri sovietici dopo la
spartizione della Polonia fra Germania nazista e Unione Sovietica. La Polonia, fu il classico
vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro. I sovietici con il massacro speravano
di eliminare in un colpo solo la classe dirigente polacca, la gran parte erano
ufficiali della riserva che nella vita erano professionisti, dirigenti,
intellettuali, attuando una sorta di pulizia di classe. Ma al di là della
crudeltà del massacro, si istituì una squadra di massacratori professionisti
addestrata per uccidere le persone con un singolo colpo di pistola in una
precisa zona della nuca, quello da raccontare è il velo di oblio che calò sulla
tragedia in seguito al ritrovamento delle fosse comuni.
Nel 1941
in seguito all’attacco tedesco all’Unione Sovietica,
polacchi e russi non erano più nemici, ma alleati e in questo nuovo quadro il generale
Anders cercò di informarsi dei suoi commilitoni prigionieri in Russia, anche
nell’ottica di formare un esercito polacco da affiancare agli alleati. Le
risposte di Mosca furono evasive, non potendo ammettere il massacro. Nel 1943, i
tedeschi, in seguito all’invasione dell’Urss scoprirono le fossi comuni; fino ad
allora non si conosceva il destino dei militari polacchi prigionieri in Russia.
Da quel momento si tentò di insabbiare tutto.
I tedeschi cercarono di formare una commissione d’inchiesta
internazionale, ma gli alleati per non irritare l’alleato sovietico si
opposero. Allora i nazisti formarono una commissione come poterono, coinvolgendo
la Croce Rossa
ed appurarono le colpe dell’Urss. Gli alleati continuarono a negare l’evidenza.
Al di là del fatto contingente di
non irritare un alleato, la faccenda si colorì di sfumature ideologiche. Per
motivare l’opinione pubblica si era dipinto il nazismo come il male assoluto;
cosa sarebbe successo se si fosse scoperto che l’alleato sovietico agiva come
né più né meno dei nazisti?
Indubbiamente era necessario mantenere l’alleanza per
sconfiggere i tedeschi, ma come era necessaria l’Unione Sovietica per gli Alleati,
altrettanto importante erano per i sovietici gli Alleati in particolare per la
fornitura di viveri e di armi. Forse un qualche spazio di manovra poteva
esserci, però gli Alleati preferirono
tacere.
Il comportamento di Churchill fu dettato da semplice
pragmatismo, anche se dopo la guerra non essendo più primo ministro ed iniziata
la guerra fredda poteva sicuramente in una delle sue tante conferenze parlarne.
Forse il silenzio fu dettato dal voler nascondere un episodio di cui
sicuramente non era fiero, mentre merita particolare attenzione il
comportamento di Roosevelt.
Il presidente statunitense ebbe un atteggiamento di
accondiscendenza verso Stalin, perché immaginava l’Unione Sovietica avviata
verso un’evoluzione democratica in ciò influenzato da molti suoi collaboratori
di area liberal che nutrivano simpatia per il comunismo. Inoltre, immaginava un
dopoguerra bipolare in cui l’egemonia sarebbe stata spartita fra Stati Uniti e
Unione Sovietica con il Regno Unito relegato fra i le nazioni di second’ordine.
Il massacro di Katyń in questa ottica diventava un incidente di percorso che
non influiva sull’apparente traiettoria democratica intrapresa dalla Russia,
che nasceva da una rivoluzione come gli USA al contrario degli altri stati
europei. Questo abbaglio ideologico finì per convincere gli statunitensi a
tacere sul massacro.
Addirittura, ci fu un tentativo da parte dei sovietici, nel
processo di Norimberga, di addossarne le colpe ai nazisti, ma di fronte
all’evidenza furono costretti a ritirare le accuse. Negli Stati Uniti ci fu un
inchiesta del Congresso negli anni ’50, ma il tutto si arenò per motivi di
politica internazionale, quando si doveva firmare l’armistizio della guerra di
Corea e non era il caso di inasprire gli animi. L’Unione Sovietica ha
continuato a negare l’evidenza anche in seguito fino alla svolta di pochi anni
fa con Gorbaciov e Eltsin che hanno ammesso la responsabilità sovietiche a
distanza di 50 anni.
C’è anche un risvolto italiano, a dir poco disdicevole della
faccenda. Della commissione internazionale istituita dai nazisti faceva parte
un italiano, il professor
Vincenzo Palmieri, direttore dell’istituto di medicina legale dell'Università
di Napoli, che non poté che appurare le evidenti responsabilità
sovietiche. Nell’immediato dopoguerra fu perseguitato dal Partito Comunista
Italiano che agiva, consentitemi l’espressione di sapore giuridico, in nome e
per conto dell’Unione Sovietica. Il professore Palmieri veniva contestato a
lezione, accusato di essere un nazista e addirittura alcuni colleghi giunsero a
chiederne l’allontanamento.
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